Gli sbarchi sono stati 832mila. Ma non spaventatevi troppo. 832mila in quindici anni, fra il 2002 e il 2017. L’ultimo dato disponibile parla di 132.187 nel 2017. Nel 2018 si sarebbe raggiunta la stessa cifra, ma le conferme sono in corso. La metà dei registrati sono giovani, per lo più diplomati e laureati che hanno deciso di cercare altrove una possibilità di lavoro, di vita, di futuro.
Per fortuna, le strutture di accoglienza e le offerte di lavoro, in parte precario o a part time non mancano, ma quando non c’è posto o non c’è lavoro per tutti, ecco una seconda possibilità che, di solito, non si nega a nessuno: un nuovo sbarco, ma in un altro Paese, Francia, Germania, Gran Bretagna le mete più ambite. In Germania, ad esempio, si accolgono a braccia aperte medici, infermieri, tecnici della sanità.
Certo, 832mila sbarchi, 132mila all’anno, sono un problema. Sia per chi spera di “sbarcare “ il lunario, sia per chi deve governare i flussi. Tanto più che il proposito di numero chiuso e porte chiuse non ha molto effetto. Se non c’è lavoro per tutti, se si vive in un clima di illegalità e pericolo, se non c’è posto per tutti, l’alternativa è appunto lo sbarco altrove, il viaggio della speranza.
L’ultimo rapporto sugli sbarchi non lo ha scritto il Viminale, giustamente preoccupato per il terribile assedio di circa 2000 clandestini che, da soli sui barconi o accompagnati dalle ONG, osano tentare la sorte in quel paradiso di umanità e turismo che è il nostro sud. Un paradiso in cui vivono però alcuni individui che pensano sia giusto tirare pietre su altri esseri umani, colpevoli di raccogliere pomodori nei campi per pochi euro al giorno e di rubare agli indigeni il lavoro che non c’è. No, non si tratta di questo, L’ultimo rapporto sugli sbarchi lo ha scritto lo Svimez, una nota Ong molto attiva da circa mezzo secolo nel radiografare questo tipo di problematiche, benché quasi sempre inascoltata.
I dati sugli sbarchi degli italiani meridionali al Nord rappresentano la vera emergenza nazionale, la più drammatica conferma delle distorsioni del nostro modello di sviluppo
E 832mila in quindici anni, una città grande come Bologna, è la cifra delle migrazioni italiane da Sud verso Nord. Un trasloco gigantesco e silenzioso, che impoverisce ancora di più le regioni del Sud e che avviene in un Paese complessivamente impoverito, a crescita sotto zero, invecchiato e sfiduciato. Se è vero che nelle Regioni del Nord la situazione economica è decisamente migliore, con buone prospettive occupazionali e di crescita, è anche vero che la crescita anche al Nord è minima e che, secondo gli ultimi dati, Pil e produttività sono fermi.
I dati sugli sbarchi degli italiani meridionali al Nord (un fenomeno peraltro storicamente ripetitivo che dovrebbe rinfrescare la memoria dei razzisti di ieri e di oggi) rappresentano la vera emergenza nazionale, la più drammatica conferma delle distorsioni del nostro modello di sviluppo, della distrazione della classe politica, della mancanza di visioni, investimenti, sfide, della incapacità – questa sì, tutta meridionale – di mettere a frutto risorse e di mettere ordine nelle proprie amministrazioni pubbliche. (salvo ovviamente le eccezioni).
Se ci si ferma a riflettere su questa dimensione del problema meridionale e più in generale dei veri problemi del Paese – demografia, investimenti, illegalità, istruzione, new economy – si capisce quanto siano fuori dal tempo e grottesche le polemiche e i dibattiti sui temi del giorno, ossessivamente proposti dai litiganti al governo e dai giornali altoparlanti : migrazioni e autonomia regionale. Meno di duemila sbarchi quest’anno fanno più notizia delle decine di migliaia di lavoratori stranieri che nel nostro Paese hanno trovato un futuro, hanno creato imprese, pagano tasse e contribuiscono alla crescita demografica. Del depauperamento del Sud a vantaggio del Nord, anche in termini di spesa sanitaria di migliaia di meridionali che si curano al nord e per l’istruzione di decine di migliaia di giovani che non trovano lavoro al sud, non parla nessuno. Di 832mila sbarchi di italiani non parla nessuno. Di una visione per il futuro, che recuperi le nostre migliori qualità e metta a frutto la nostra straordinaria bellezza, non parla nessuno.
Nessuno parla, ma tutti gridano frustrazione, rabbia, impotenza. Nessuno parla, ma in tanti cercano nemici dove non si sono. Nessuno parla, ma sopratuttto nessuno ascolta, impegnato com’è a costruire effimere carriere politiche sui nervi scoperti di un Paese che si sente sconfitto prima di combattere.