Vincolo di mandatoL’analfabetismo democratico di Di Maio

Il ministro degli Esteri, in trasferta all'Onu, ha detto che chiederà un risarcimento da 100 mila euro ai deputati e ai senatori che lasciano il suo partito, ma la Costituzione è una roba seria, non un post su Rousseau

Andreas SOLARO / AFP

Non stupisce che Luigi Di Maio si trovi più a suo agio con gli slogan da talk show serale piuttosto che a svolgere la funzione di Ministro degli Esteri, ma ascoltare il capo della diplomazia italiana ripetere una sciocchezza da analfabeta della democrazia nei corridoi del Palazzo di Vetro dell’Onu, e a volerlo prendere sul serio, è uno spettacolo immondo.

Di Maio ha detto ai cronisti che chiederà centomila euro di risarcimento ai parlamentari che lasciano i cinque stelle, come se i senatori e i deputati fossero inquilini in affitto che hanno rotto lo scaldabagno e non membri dell’organo costituzionale che definisce la nostra Repubblica ed espressione della sovranità popolare. Già la galassia Casaleggio impone con le carte bollate una specie di decima ai limiti della costituzionalità all’eletto-dipendente in Parlamento, ma chiedergli anche centomila euro di risarcimento in caso di uscita dal partito, sulla base di un contratto fatto firmare al momento della candidatura palesemente in violazione dell’articolo 67 della Costituzione, è un atto eversivo.

L’articolo 67 dice che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Tradotto: i parlamentari di un paese democratico non rispondono al mandante Di Maio, ma alla propria coscienza (ad avercela)

Di Maio sa benissimo, o forse non lo sa ma semplicemente era assente alle lezioni di logica, che non può chiedere alcun risarcimento ai parlamentari, nonostante il contratto, tanto che alle Nazioni Unite ha aggiunto che per mettere fine «al mercato delle vacche» di chi lascia il gruppo parlamentare per entrare in un altro sarebbe arrivato «il momento di introdurre il vincolo di mandato». Cioè ha ammesso che, non essendoci il vincolo di mandato, il contratto e la richiesta di risarcimento sono soltanto fuffa.

L’articolo 67 dice che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», non fa cenno né a Casaleggio né a Rousseau, e quindi libera i rappresentanti del popolo dall’obbligo di rispondere al mandante politico, come capitava ai tempi di Mussolini. Tradotto: i parlamentari di un paese democratico non rispondono al mandante Di Maio, ma alla propria coscienza (ad avercela).

Anche altri leader, come Silvio Berlusconi, in un’epoca più analogica avevano flirtato con l’idea di eleggere parlamentari di partito, anziché della Repubblica, ma il caso Di Maio è più rilevante e pericoloso perché è il capo politico di un partito di proprietà di un’azienda privata nata con l’obiettivo di aprire i parlamenti come scatolette di tonno e con il progetto di superare la democrazia rappresentativa, cioè la democrazia. Il progetto è eversivo.

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