Immaginate un Festival che non esiste, ma che quasi tutti conoscono.
È accaduto in queste settimane con il Festival degli Incontri, un format che ho ideato per la mia città, L’Aquila, e che si sarebbe dovuto svolgere nella sua prima edizione dal 10 al 13 ottobre, in un anno simbolico e molto delicato per noi aquilani come lo è quello del decennale del sisma.
È appena stato inviato alla stampa un appello a firma di alcuni fra i tanti artisti che avrebbero dovuto partecipare all’evento affinché il Festival si faccia e abbia luogo senza veti né censure. Fra i firmatari: Roberto Saviano, Zerocalcare, Fabrizio Gifuni, Marco Damilano, Ascanio Celestini, Donatella di Pietrantonio, Marcello Fois, Iaia Forte, Paolo Giordano, Massimiliano Coccia, Michela Murgia, Paolo Repetti, Giuseppe Genna, Chiara Valerio, Daniele Vicari.
In un passaggio, si legge: «Chiediamo a tutte le istituzioni coinvolte, a partire dal ministero della cultura, di confermare il Festival nella sua programmazione e nella direzione artistica».
Ma facciamo un passo indietro.
Di colpo, immaginate di essere catapultati in un reticolo di comunicati, conferenze stampa, dichiarazioni, repliche, smentite e ricostruzioni contrastanti, contraddittorie, inconciliabili. E di colpo, avrete sotto mano una fotografia perfetta del nostro Paese. Sbaglia chi crede che sia un episodio, questo, da ascrivere a una dimensione unicamente locale. Da qualsiasi punto di vista la si legga, tutta la querelle legata al Festival degli Incontri, corre su due binari paralleli e ha, sotto vari aspetti, un carattere doppio e una natura stratificata.
La direttrice artistica selezionata (con una pubblica manifestazione d’interesse) per declinare il palinsesto del Festival, Silvia Barbagallo, Presidente dell’associazione Minimondi, nota per aver ricoperto, tra i tanti incarichi, quello di capo del coordinamento esecutivo del Festival della piccola e media editoria Più libri più liberi, accusa il sindaco di ingerenze politiche sul programma da lei ideato. Parla dalle pagine di Repubblica e dichiara che il sindaco de L’Aquila, Pierluigi Biondi, ex militante di CasaPound, si è fatto vivo manifestando l’intenzione di voler condizionare il supporto operativo del Comune e proponendo l’esclusione di alcuni ospiti sgraditi alla sua aerea politica, Fratelli d’Italia. Primi fra tutti, gli ospiti Roberto Saviano e Zerocalcare.
Voilà, s’incendia la polemica sulla stampa nazionale. La risposta del sindaco non si fa attendere. Viene convocata a L’Aquila una conferenza stampa. I giornali locali titolano “Biondi è una furia”. Nella furia, resta una dichiarazione fra le altre: «Qui non si sta parlando di cultura, ma delle marchette di De Simone e Barbagallo». Questo prima che il sindaco si riferisse a noi definendoci «sciacalle».
«Hanno scritto che non voglio Saviano e Zerocalcare. No, non ce li voglio. Perché la mia è una città nobile»
È solo l’inizio. A partire da quel momento, una giravolta di interviste a tutti i protagonisti della – “triste” può essere un eufemismo o pleonasmo, fate voi – vicenda. La linea della Barbagallo, che condivido, resta sempre la stessa: non è accettabile un veto politico sulle scelte artistiche di un direttore. Così si crea un precedente pericoloso: tollerare che la scelta artistica di un contenitore culturale abdichi a degli interessi politici. E noi non ci stiamo. La linea del sindaco smentisce, in un primo momento, la censura e porta il fuoco su altro: nessun veto. La verità sarebbe che non esiste alcun programma, che siamo di fronte a un increscioso caso di “Festival fantasma”. In sintesi, la direttrice artistica accuserebbe il sindaco di censura per trovare una via di fuga dato che non ha fatto, o non ha saputo fare, il suo lavoro.
A questo punto, gli aquilani si schierano su due fronti opposti. C’è chi si dice allarmato per il veto del sindaco sul cartellone di un evento culturale – che il comune neanche finanzia, ma che sostiene interamente il Mibact. C’è chi guarda con sospetto alla Barbagallo, l’ideatrice di un palinsesto che non esiste, la (pseudo)professionista con simpatie a sinistra che ora scappa dalle sue responsabilità incolpando il sindaco.
Ma tornerò poi sul “sentiment” dei leoni da testiera, per citare la mia analista politica preferita, Barbara D’Urso, che ogni settimana in tivù ci consegna una fotografia così nitida del paese. È il momento, ora, di un colpo di scena! A distanza di pochi giorni, nella kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, davanti gli astanti di Atreju, Biondi torna alla carica contro Saviano e Zerocalcare – ribattezzato a L’Aquila: “Zero(ottoseidue)Calcare”, con l’aggiunta ad honorem del prefisso cittadino. In un video che rimbalza su gran parte della stampa nazionale e in tutti gli anfratti dei quotidiani-siti-blog aquilani, Biondi, microfono alla mano, afferma: «Hanno scritto che non voglio Saviano e Zerocalcare», suspense… «No, non ce li voglio». Ecco. «Perché la mia è una città nobile».
I documenti smentiscono il sindaco, ma la narrazione che della vicenda è stata fatta è più persistente dei fatti. Il programma c’era – che programma!, dico io – e il Comune sapeva
Si potrebbe scrivere un saggio su ciò che di discutibile c’è in questa frase, e non a partire dalla censura a Saviano, ma a partire dalla concezione para-feudale della città che si amministra, come se il capoluogo abruzzese fosse una proprietà in cui il primo cittadino può invitare o bandire tizio e caio, per poi proseguire su un passaggio rivelatore: il salto logico No-Saviano/città-nobile.
E tuttavia, puntiamo alla sintesi. Ancora una carrellata sfiancante di commenti, interviste e comunicati in cui interviene perfino il Ministro appena insediato. Dario Franceschini condanna la censura in un tweet, poi scrive di suo pugno al sindaco: «La invito a porre in essere tutti gli atti volti ad assicurare lo svolgimento del Festival secondo il programma previsto che, come ho già ribadito nei giorni scorsi e alla luce di quanto sopra illustrato, non può né deve essere oggetto di alcuna pressione e interferenza politica». E in cui intervengono – qui il primo tassello a favore di una lettura che deve astrarsi dal locale e compiersi su un piano generale – da una parte, Matteo Renzi, Gennaro Migliore (Italia Viva) Stefania Pezzopane (Pd), l’ex Sottosegretario alla cultura Gianluca Vacca (Cinque Stelle); e dall’altra, Giorgia Meloni (FdI), Gaetano Quagliarello (identità e Azione), il Presidente della regione Abruzzo Marco Marsilio (FdI).
Ultima parola, ma solo per ora, ce l’ha il ministero dei Beni Culturali che passa ai giornali copia di un documento che smentisce il sindaco. Il 7 agosto l’alto funzionario del Comune de L’Aquila, Alessandra Macrì, invia al Mibac una richiesta per l’anticipazione del 60% dei 700mila euro stanziati dal ministero per il Festival, nella quale lettera allega il “programma del Festival internazionale degli incontri sottoscritto dal direttore artistico”. Il programma, quindi, esiste e il Comune – che lo ha approvato tramite un delegato del sindaco in data 31 luglio – non poteva non sapere. Fino al giorno prima, Biondi ha dichiarato che non c’era nulla, se non “qualcosa di vago”. Ma tant’è.
Il doppio binario su cui scorre la vicenda, tuttavia, è questo: a partire da un fatto, esiste, da una parte, la comunicazione politica e dall’altra, gli atti di natura amministrativa che sono il dato di realtà. I documenti smentiscono il sindaco, ma la narrazione che della vicenda è stata fatta è più persistente dei fatti. Il programma c’era – che programma!, dico io – e il Comune sapeva. E però questo non impedisce di scrivere alcuni commenti tipo: chi pensate di prendere per scemo?, non me la date a bere a me!1!
E allora, leggere i commenti in cui augurano la morte a Silvia Barbagallo chiamata in causa in un tweet costruito ad arte da Giorgia Meloni. Leggere quelli in cui danno della troia di Renzi a me, perché l’ex Premier ha scritto un post in nostro favore. Leggerli con la pancia stretta – quando va male – o con lo sguardo scorato ma composto di Padoan davanti alla Castelli – nei giorni sì. Leggerli e sentirsi in colpa per tua madre che è subissata di chiamate e adesso ha la febbre, leggerli e dirsi: ma se vale tutto si metteranno in gioco solo quelli che non perdono niente? Leggerli e pensare: non avrei dovuto proporre un’idea al Mibac per il decennale e fare incontri e riunioni e chiamate – senza percepire alcun compenso, va detto, non perché ci sarebbe qualcosa di male, ma perché la retorica populista delle “poltrone” in questi giorni ha colpito anche me e allora basta ve lo dico: come Presidente (“molto pro tempore” per citare il sindaco) del Teatro Stabile d’Abruzzo non percepisco neanche un soldo, finitela. Leggerli e dirsi: come uscire da questo clima d’odio e dalla cultura del sospetto? Come non indignarsi di fronte all’equivoco di una politica che, in quanto legittimata dal voto, pretende di andare oltre se stessa? Quanto può ingrassarsi, nel tempo, il fondale psichico di profondo maschilismo – perché c’è anche questo ed è inutile negarlo – che nel nostro Paese torna a galla nel silenzio ogni giorno di più e investe, in questo caso, delle private cittadine senza curarsi delle conseguenze, neanche di quelle giudiziarie, dato che “marchettare e sciacalle” o “amichette del ministro” suonerebbe come una diffamazione?
E quando abbiamo smesso di trovarci d’accordo su alcune regole di base, insindacabili e necessarie, come il rispetto dei ruoli (dei limiti) che competono a ognuno di noi? Soprattutto: non è che, con l’ironia e la disillusione un po’ mondana, stiamo sottovalutando il rischio di un modus operandi che mina le basi del nostro stato di diritto?
Per altri aggiornamenti, a presto.
* scrittrice e presidente del Teatro Stabile d’Abruzzo