Non si va in pensione contro i propri figli«Come osate?», contro quota 100 servirebbe una tosta come Greta

La storia della seconda repubblica è una storia di riforme e di controriforme delle pensioni. Fosse passata quella di Dini non saremmo nei guai in cui ci troviamo. I renziani gli unici a resistere

Marc Piscotty / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Sono abbastanza anziano da ricordarmi che la prima grande battaglia politica della Seconda repubblica, o presunta tale, si è giocata sul tema delle pensioni. Il primo governo Berlusconi cadde a causa della riforma previdenziale contro la quale si schierarono la Lega, la sinistra, i sindacati, i giornali e le piazze, anche se era una riforma che piaceva a Romano Prodi, Franco Modigliani e Paolo Sylos Labini, economisti non berlusconiani secondo i quali non era giusto scioperare contro i propri figli.

La riforma Dini aboliva la pensione di anzianità e riduceva il rendimento dei contributi per tutti: oggi non saremmo nei guai in cui ci troviamo se allora non fosse prevalsa una certa miopia politica. Ma è andata così. Lega, sinistra e sindacati hanno scaricato un grave peso sulle generazioni future e da allora le stagioni politiche si sono alternate tra quelle attraversate da impeti riformatori e quelle di controriforma per salvaguardare i pensionabili e i pensionati.

C’è stata una decente riforma Maroni (nel frattempo la Lega si era ricreduta) lodata addirittura dall’Economist nel pieno della battaglia sull’inadeguatezza di Berlusconi a guidare l’Italia, inopinatamente annacquata dal centrosinistra successivo, fino ad arrivare alla professoressa Elsa Fornero che per evitare di farci fallire ha salvato con il Pd e Forza Italia i conti pubblici a un passo dal baratro.

Il debito lasciato dagli adulti sulle spalle delle giovani generazioni è enorme, insopportabile quanto quello dell’inquinamento nell’atmosfera. Greta, dove sei?

Eravamo messi così male che, nonostante le minacce e le ingiurie alla professoressa, la legge Fornero è la prima riforma delle pensioni degli ultimi anni che non è stata azzerata né dai successivi governi di centrosinistra né da quelli nazional-populisti che tanto avevano sbraitato.

Salvini e i Cinque stelle hanno introdotto una piccola finestra di tre anni che consente di anticipare la pensione, la famigerata quota cento, totalmente insensata nel modo in cui è stata congegnata perché molto costosa, almeno dieci miliardi, oltre che iniqua perché quest’anno coinvolge soltanto 180 mila richiedenti che andranno in pensione quattro anni prima di coetanei magari nati soltanto un giorno dopo i fortunati che rientrano nella finestra.

Caduto il principale sostenitore della misura, capitan Salvini, la cosa più logica sarebbe stata cancellare o rimodulare quota cento, invece che aumentare le tasse o ridurre la spesa pubblica, ma i Cinque stelle si sono impuntati perché comunque era uno dei punti del loro programma elettorale, anche se non se lo ricorda nessuno, mentre il Pd si è girato dall’altra parte. Ci hanno provato soltanto i renziani a far saltare quota cento, meritoriamente, ma non ci sono riusciti. Il debito lasciato dagli adulti sulle spalle delle giovani generazioni è enorme, insopportabile quanto quello dell’inquinamento nell’atmosfera. Greta, dove sei?

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