I conservatori americani contro Trump, i never trumper, non hanno avuto molta fortuna in questi anni nonostante molti di loro fossero personalità autorevoli del mondo repubblicano e professionisti rispettati nei circoli governativi di Washington. Trump si è dimostrato più forte di tutte le polemiche, di tutte le critiche, di tutte le inchieste e a poco a poco ha costretto anche il fronte dei never trumper a capitolare (salvo qualche notevole eccezione).
Molti oppositori della prima ora si sono cinicamente adeguati alla nuova realtà politica e hanno provato a contenere le mattane di Trump dall’interno dello Stato, interpretando il ruolo delicato dell’adulto nell’Amministrazione dell’Adolescente-in-Chief. Sono riusciti a parare qualche colpo, in effetti, a dirgli di sì alle richieste più assurde, tipo bombardare con l’atomica gli uragani, e poi a far finta di esserselo dimenticato, ma alla fine hanno combinato poco e, col tempo, Trump li ha fatti fuori a uno a uno, preferendo familiari, mezze figure, yes man.
Ora che l’ennesima serie di scandali trumpiani ha convinto i Democratici ad avviare formalmente l’inchiesta per mettere in stato di accusa il presidente, sembra che qualcosa stia cambiando perché, di fronte alle continue richieste di favori ai capi di Stato stranieri contro Biden e Mueller, i repubblicani silenti e a maggior ragione quelli più cinici cominciano a domandarsi quanto sia politicamente pericoloso restare legati a un leader esposto all’impeachment e magari pronto a provocare chissà quale scontro istituzionale.
Secondo Ross Douthat, editorialista conservatore del New York Times, imperterrito anti trumper, questa è l’ultima occasione per i repubblicani di liberarsi del legame col presidente, una macchia che altrimenti resterà indelebilmente associata alle loro carriere. Vedremo se si tratta di un’altra pia illusione o se invece questa volta il destino di Trump sia davvero segnato.
Tutto questo è molto interessante anche per l’Italia, non solo per gli effetti tellurici che l’eventuale rimozione di Trump potrebbe scatenare sulla politica globale e quindi anche su quella nostrana, ma perché è arrivato il momento di avviare un dibattito serio anche nel centrodestra italiano che fu berlusconiano e quindi populista ma europeo e costituzionale, addirittura liberalsocialista, e che ora è guidato da Matteo Salvini con Giorgia Meloni vice capitana e il cuore immacolato di Maria a proteggerlo.
Forza Italia non è nato come un partito di destra, meno che mai clericale. Berlusconi era socialista craxiano, a parole voleva fare la rivoluzione liberale, americana e filo occidentale. Il suo gruppo dirigente, a parte gli uomini provenienti dall’azienda, era formato da socialisti, democristiani e qualche liberale. Al suo fianco c’era un gruppo di professori post marxisti e di intellettuali ex comunisti, gente seria e preparata, non ex contrattisti Luiss che berciano contro il meticciato. Berlusconi stava nel Partito popolare europeo, nominava Emma Bonino, Mario Monti e Mario Draghi nei posti di potere dell’Unione e mediava per contenere Putin e portarlo dentro la Nato. Nel Paese prendeva i voti ex democristiani e costringeva la destra missina ad abbandonare le liturgie del Ventennio e a trasformarsi in partito moderato e centrista. Forza Italia spingeva i leghisti ad abbandonare le ampolle pagane del Dio Po e a indossare il pettinato di lana da buon amministratore locale.
Paradossalmente della stagione berlusconiana è rimasta solo l’ala governativa della Lega di Salvini, quella che guida le regioni del Nord con freddezza tecnocratica e mollezza centrista
Non tutte queste cose sono riuscite o sono state condotte con la barra dritta, anzi in gran parte sono finite male, malissimo, ma questo era lo spirito originario, questa la direzione di marcia, verso il centro.
Di quella stagione non è rimasto niente se non, paradossalmente, l’ala governativa della Lega di Salvini, quella che guida le regioni del Nord senza rosario ma con freddezza tecnocratica e mollezza centrista.
Salvini è il leader della destra soltanto perché a destra non c’è più il centro. È sparito il centro liberale, poi quello socialista, infine quello cattolico, e con loro sono spariti gli elettori. Quei pochi dirigenti antipopulisti rimasti nel fu centrodestra oggi si illudono di poterlo ricostruire alleandosi con Salvini e Meloni, la coppia dei pieni poteri e della guerra alla perfida Gallia, e non si rendono conto di trovarsi nella stessa identica situazione dei repubblicani americani di fronte a Trump: liberarsene in tempo oppure restarne macchiati a vita. L’opportunità è grande e se ne sono accorti fuori dal centrodestra, più che dentro.
Al centro le cose sono in piena evoluzione. Dal Partito democratico sono usciti Matteo Renzi e Carlo Calenda, ciascuno dei quali ha molti più punti in comune con l’elettorato moderato di quanti ne abbiano Salvini e la sinistra-sinistra, dalla provenienza cattolica del primo ai rapporti con le imprese del secondo, dal garantismo al riformismo di entranbi. Ci sono anche quelli di +Europa e altri seguiranno, almeno si spera, ma intanto per la maggioranza moderata del nostro paese è arrivato il momento di dire Never Salvini.