«Non sono un teorico della Milano città Stato. La creazione di un nuovo modello sociale mi sta benissimo e lavoriamo per questo. Ma questo modello è da governare», dice Beppe Sala, sindaco di Milano, intervistato dal direttore de Linkiesta Christian Rocca, insieme ai giornalisti Eva Giovannini e Federico Sarica, al Teatro Franco Parenti di Milano nel corso de Linkiesta Festival. Il primo cittadino, che ha definito «solida» l’ipotesi di una sua ricandidatura alla guida della città, ha elencato i prossimi passi da compiere per migliorare il “modello Milano”. Un modello, dice, «che va applicato all’Italia intera», lasciando intravedere quindi anche un suo impegno nella politica nazionale.
«In questi anni la città si è molto consolidata nelle sue componenti, dalle università all’industria. Stiamo fagocitando le energie e le risorse anche di questo Paese. Di 8mila multinazionali presenti in Italia, 4.300 sono a Milano. Milano fa il 10% del Pil. Gli investimenti immobiliari a Milano nei prossimi anni raggiungeranno i 12-13 miliardi su Milano. E quest’anno supereremo i 10 milioni di turisti nell’area metropolitana». Basta tutto questo? No, secondo il primo cittadino milanese. «È tutto bene, ma è da governare», ribadisce Sala. «Gli investimenti immobiliari devono essere inseriti in una dimensione coerente e sostenibile. E serve soprattutto radicalizzare l’azione alla ricerca di maggiore equità sociale: al momento di questo beneficio ne hanno goduto in pochi. Una parte ancora troppo limitata della città sta godendo di questo momento positivo. Quindi andiamo avanti su questo percorso ma governandolo e sentendoci in dovere di agire perché ci sia più equità».
Serve soprattutto radicalizzare l’azione alla ricerca di maggiore equità sociale: al momento a Milano di questo beneficio ne hanno goduto in pochi
Spostandosi da Milano alla politica romana, Beppe Sala ha escluso per il momento un suo imminente salto nella dimensione nazionale, ma ha rivelato comunque che sta lavorando «per aggregare persone e idee per portare forza nuova e linfa nuova alla politica nazionale». Il “modello Milano”, ha spiegato, «ora va applicato all’Italia». Certo, ha aggiunto, «se mi ricandidassi a Milano, mi ricandiderei in discontinuità con me stesso. Vorrei avere intorno a me persone nuove, più fresche, che si affiancano a persone esperte».
Quanto al futuro del Partito democratico, Sala ha spiegato che «fino a febbraio-marzo, il Pd dovrà mettere giù la testa e trovare la formula per immaginare di andare a elezioni con un sistema diverso». Sulla debacle delle elezioni in Umbria, ha detto: «Hanno fatto una stupidata a mettersi insieme Pd e Cinque Stelle, lì era segnato il destino. Ti metti insieme la prima volta per una cosa che sai già che perdi. Mentre in Emilia l’idea dei Cinque Stelle di dire “non partecipiamo all’alleanza” mi sembra bislacca. Lì dovrebbero davvero stare insieme».
«Io ho aperto all’idea dei Cinque Stelle, perché in un’ottica proporzionale il Pd è un partito da 20%. Per cui dobbiamo trovare delle formule di coalizione», ha detto Sala. Anche perché, ha aggiunto, «l’appuntamento dell’elezione del presidente della Repubblica nel 2022 è fondamentale in un Paese come l’Italia. Io mi sentirei in forte disagio a immaginare un presidente della Repubblica scelto da Matteo Salvini che governa per sette anni». E su Matteo Renzi, ha raccontato che «ci siamo sentiti molto durante la crisi di governo. Non è stata una sorpresa la sua uscita dal Pd. Forse è stata una sorpresa il timing. Certo non è che il Pd gli abbia steso mai tappeti rossi! Ma è tutto meno che uno da buttar via nello scenario politico italiano».