Da 4 a più di 400 persone. Da 1 a 15 locali. Da 38 a più di 2500 pasti serviti. Il tutto dal 2011 ad oggi. In soli 8 anni quattro giovani e intraprendenti ragazzi, digiuni di enogastronomia ma determinati a riuscire in questo settore così competitivo, hanno dato una svolta alla loro vita e hanno cambiato radicalmente il modo di vedere la ristorazione milanese.
Se oggi beviamo cocktail in ogni ristorante, se oggi il sushi è così comune, se oggi andare in un ristorante per divertirsi e non solo per mangiare è sempre più normale, probabilmente in parte lo dobbiamo anche a loro: Linda Maroli, Fabrizio Pisciotta, Francesco Marconi e Santo Bellistri sono stati precursori (forse inconsapevoli, ma di sicuro caparbi) di tante di quelle che sono diventate mode del presente.
Dopo gli studi e un viaggio in Brasile, dove scoprono la cucina giappo-brasiliana così apprezzata in quel Paese, investono tutti i loro risparmi per aprire un luogo dove mangiare buon sushi a prezzi onesti, bevendo cocktail «perché Francesco si era appassionato di caipirinha, e abbiamo pensato che bere qualcosa avrebbe reso l’esperienza più divertente».
E da quel piccolo locale sui Navigli, dove per i primi giorni i ragazzi si mostravano in vetrina mentre assaporavano i loro piatti come unico strumento di marketing, 38 coperti e tanta strada da fare, è partita la realizzazione di un sogno: «Giravo per i tavoli, chiacchieravo con i clienti, pulivo più in fretta possibile, perché sapevo che più i tavoli giravano e più il nostro debito si assottigliava. Era una corsa contro il tempo, ma non ho mai pensato che sarebbe finita lì. Temakinho è nato per essere scalabile, questo l’abbiamo avuto ben chiaro fin da subito». A parlare è Francesco Marconi, CEO della società che oggi conta 15 ristoranti aperti in tutta Europa e che da allora ha costruito la sua credibilità e la sua azienda con la stessa determinazione che metteva nei primi giorni di questa apertura, da cameriere.
Liberi dai preconcetti dei ristoratori di mestiere, idiosincratici rispetto ai locali di lusso, ingessati e tutti uguali, hanno subito capito che il futuro del loro progetto era la standardizzazione, ma modulata.
Perché se sul cibo serviva un formato perfettamente replicabile e uno standard sempre identico, sui locali ci si poteva – anzi si doveva! – lavorare sulla creatività. Tutti i ristoranti hanno una grande identità, e nascono su misura sulla città e la zona che li ospita. Le proposte di menu, invece, sono il vero must: «Fin da subito abbiamo capito che il business doveva permetterci di standardizzare i processi. Dovevamo avere un fortissimo approccio tech e industriale, per creare efficienza mantenendo alta la qualità».
È nata così la central kitchen a Paderno Dugnano: un progetto nel progetto che cambia le modalità di approccio classico al ristorante. In questo luogo perfettamente idoneo alle preparazioni, nascono le basi che nelle cucine sono troppo complicate da gestire: un vero e proprio stabilimento produttivo che fornisce i semilavorati necessari a tutti i ristoranti.
«Preparare tutto nelle cucine dei singoli ristoranti non era efficiente e portava via spazio per quello che dobbiamo fare meglio, ossia la preparazione del sushi. Questa decisione ci ha permesso di migliorare la qualità, standardizzandola
«Preparare tutto nelle cucine dei singoli ristoranti non era efficiente e portava via spazio per quello che dobbiamo fare meglio, ossia la preparazione del sushi. Questa decisione ci ha permesso di migliorare la qualità, standardizzandola. Tutto quello che esce da lì è controllato e certificato con bollo CE. Il protocollo alimentare è molto più rigido, la sicurezza alimentare garantita a livello europeo: e quando hai a che fare con pesce crudo, questo aspetto è determinante». Ma non è solo il pesce, ad arrivare dal laboratorio unico: anche la salsa di soia è una esclusiva Temakinho, preparata con una antica ricetta giapponese, ma con strumenti e processi industriali: artigianato dove serve, industria dove è necessario.
A distanza di nove anni, i bilanci sono di rito. Questo progetto avrebbe funzionato altrove? «Milano ci ha molto aiutati: stava uscendo dalla crisi, e noi stavamo offrendo un modo di divertirsi diverso, con un buon rapporto qualità-prezzo. Le donne ci hanno adorato fin da subito, e rimangono lo zoccolo duro del nostro pubblico. Perché sanno che qui stanno bene, e sono tranquille. Del resto dico sempre che la vera ‘mamma’ di Temakinho è Linda, la mia socia, che fin da subito ha immaginato un luogo creato da una donna per le donne».
Le persone che gravitano attorno al business sono più di 400, e l’aria che si respira è di un’azienda fresca, innovativa, piacevole: «Formiamo tutto il nostro personale sul punto vendita, nella Central kitchen e stiamo creando una cucina per fare ricerca e sviluppo e formazione. Il nostro cameriere è il direttore commerciale della sua area: è suo interesse fare carriera qui da noi. Nel nostro HQ non si timbra il cartellino, si mangia tutti insieme, vogliamo che sia un ambiente sano dove il fannullone si autoelimina perché non è in linea con la maggioranza».
Abbiamo un prodotto ittico certificato Friends of the sea, uno standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispetta e protegge l’ambiente, e siamo in contatto diretto con una famiglia di produttori norvegesi
Un modo nuovo e diverso di essere ristoratori, dunque: «Alla fine io non mi sento ristoratore, ho molto rispetto per questo lavoro ma con Temakinho crediamo di essere andati oltre, di essere imprenditori. E proprio per questo, perché conosciamo il nostro impatto su questo settore e abbiamo una grande responsabilità, abbiamo deciso di andare sempre più verso la sostenibilità. Abbiamo un prodotto ittico certificato Friends of the sea, uno standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispetta e protegge l’ambiente, e siamo in contatto diretto con una famiglia di produttori norvegesi (ne abbiamo parlato qui per poter affrontare in maniera etica l’aumento spropositato del prezzo del salmone del 2017. Anche questa decisione è stata strategica e ne siamo talmente fieri che stiamo lavorando a un documentario, nel quale racconteremo di questa realtà così particolare e così bella. Ma questo te lo svelerò alla prossima intervista».
Temakinho ha reso strutturato ciò che alcuni ristoratori stanno iniziando a comprendere, e ha lavorato per costruire al suo interno tutta la filiera. Ma per chi non ha questa possibilità stanno iniziando a nascere laboratori che producono semilavorati per la ristorazione professionale: in un mondo che è cambiato più negli ultimi 5 anni che negli ultimi 50, dove il 94% delle persone consuma più di un pasto fuori casa a settimana, dove si cucina sempre meno e dove il 72% dei clienti quando mangia cerca un’esperienza, serve maggiore concentrazione dei ristoratori sui nuovi driver di scelta: cibo sostenibile, etico, e realtà che siano sempre più trasparenti nella comunicazione.
Il delivery poi, soprattutto nelle grandi città, è uno dei fattori chiave per lo sviluppo del business di un ristorante: ma il food cost va controllato e gli sprechi devono essere gestiti. Per questo le cucine di supporto, un esempio per tutte è la giovane Soul K https://www.soul-k.com, sono una scelta interessante per chi ha bisogno di qualità, e di preparazioni artigianali ma controllate, da personalizzare e usare come base per i propri piatti. Realtà che non si sostituiscono ai cuochi ma che li aiutano a essere più performanti e competitivi.
Che non si limita alla preparazione: Matteo Minardi, che insieme al socio Andrea Cova ha ottenuto nel 2018 un finanziamento di 2 milioni di euro da parte di Series A, guidato da Innogest e TAN Food, ci spiega che molto del loro lavoro si basa sull’analisi dei dati: «Stiamo lavorando ad algoritmi in grado di studiare i comportamenti dei nostri clienti per dare suggestioni sul possibile miglioramento del loro lavoro. E cerchiamo di intercettare i nuovi trend attraverso l’analisi semantica sui post online, per essere predittivi rispetto ai nuovi bisogni e alle nuove mode. È un servizio in più per le piccole realtà, che non possono permettersi sofisticate ricerche di marketing ma che vogliono comunque essere al passo coi tempi».
Perché il tempo in cui per riempire un ristorante era sufficiente cucinare bene è passato: la realtà è decisamente più complessa e va conosciuta e monitorata, con tutti gli strumenti a disposizione.