C’è uno nuovo modello di gusto che si aggira per le tavole imbandite della cucina italiana contemporanea: è la cucina cucinata, la cucina di godimento, quella di sostanza, quella golosa. Quella delle porzioni di soddisfazione, che alla creatività antepone il piacere del palato. È uno modello antitetico alla cucina che racconta storie e narra concetti, e che ricorda più i piatti della nonna (quelli autentici) e meno le porzioni chirurgiche delle opere d’arte.
Quella cucina è sempre più presente sulle tavole dei ristoranti, e non solo delle trattorie di quartiere, ma anche nei luoghi blasonati frequentati dai gourmet, che la esaltano a nouvelle vague dell’avanguardia gastronomica.
E come nel vino si torna al ‘naturale’, nella cucina si torna alla tradizione, ai piatti comprensibili di memoria regionale.
Certo, preparati con maestria, utilizzando tecniche rinnovate, con attenzione a materie prime e con mano più leggera, ma senza arrivare alla tanto acclamata ‘rivisitazione della tradizione’ che troppo spesso ha creato più racconto che sostanza.
I segnali sono tanti, e il successo decretato alle insegne che scelgono questa strada immediato, prorompente, senza distinzioni di tipologia di cliente: un suffragio universale alla rinascita della cucina buona e gustosa, non cerebrale ma concreta e riconoscibile.
Trippa https://www.trippamilano.it è uno dei casi emblematici, che nella città delle mode e dei trend, ha riproposto il modello trattoria rendendolo talmente popolare da essere ormai impossibile da frequentare, tanto i suoi (sempre troppo pochi) tavoli sono richiesti. La spiegazione al segreto del successo la dà lo chef patron, insieme al socio Pietro Caroli, Diego Rossi, super tatuato enfant prodige della ristorazione italiana di spessore, che nel suo locale ha scelto di tornare ai piatti dell’Artusi, con mano moderna ma senza mai tradire la tradizione. È suo il miglior vitello tonnato della città, è sua la trippa fritta più buona mai assaggiata.
Ma prima di Trippa ci sono stati gli antesignani del filone, Cesare Battisti al Ratanà https://www.ratana.it/persone/cesare-battisti/ , o la trattoria Nuovo Macello, che da decine d’anni gode di un panorama privilegiato sulla cucina regionale ben fatta e ben presentata, con tocchi di innovazione che non perdono mai di vista la concretezza.
La consapevolezza di questa nuova strada ha convinto persino Antonello Colonna a lasciare la città eterna per sbarcare a due passi da piazza Cordusio, con un menu che parla di tradizione e porzioni finalmente non milanesi
La consapevolezza di questa nuova strada ha convinto persino un romano doc a lasciare la città eterna per sbarcare a due passi da piazza Cordusio, con un menu che parla di tradizione e porzioni finalmente non milanesi: Antonello Colonna https://opencolonnamilano.it con il suo nuovo Open Colonna offre alla città una cucina che lui stesso definisce «cucinata», e che ci riporta alle ricette regionali laziali e provando a convincere i milanesi a tornare al gusto autentico del cibo di struttura e sostanza.
Lo fa con i grandi classici, che chiama «romanissimi»: gricia, carbonara, amatriciana, cacio e pepe, ma ci sono anche i carciofi, il pollo alla cacciatora, e un abbacchio che assomiglia a un quadro tanto è bello ma non dimentica la sua anima verace tanto è buono. Il menu di gusto e storia lascia spazio alla creatività, per esempio con il suo negativo di carbonara, con il condimento racchiuso in una sorta di raviolo, ma non delude sul fronte tradizionale.
Con un piglio e una determinazione da vecchio oste: perché se in cucina si riscopre la cucina, in sala si sdogana definitivamente l’accoglienza vecchia maniera, quella del sentirsi a casa e del farsi raccontare, entrando in sintonia con chi si siede ai tavoli. Che rimangono rigorosamente di design, quelli sì.
La storia si ripete anche a Roma, dove un grande rappresentante della cucina di rottura come Davide Scabin, vero precursore decine di anni fa sul fronte innovativo, cambia registro per sbarcare al mercato centrale mercatocentrale.it con un progetto che strizza l’occhio al passato: Il futuro è ciò che ci siamo dimenticati è la sua nuova filosofia. La tradizione viene recuperata, ma la tecnica è innovativa.
Per capirci: la ricetta è quella della nonna, ma la ceramica del forno è quella della NASA. Il Piemonte incontra il Lazio, i piatti si reinventano, l’incontro è costruttivo, il risultato è innovativo e si chiama Scabeat, un progetto che porta il Piemonte a Roma per una nuova variante di gusto, scherzosamente ridefinita “piemontesca”.
Del resto, è tornata di moda addirittura la pasta e a Milano il format ‘miscusi’ sta rivalutando il classico piatto all’italiana riportandolo in auge come decisa alternativa al sushi, all’apericena, all’etnico a tutti i costi. Non si prepara più a casa propria ma si gusta con gli amici ai tavoli di questa cucina con il pastificio a vista, che produce quotidianamente diverse trafile da abbinare a piacere a condimenti tipici della tradizione italiana, personalizzabili con aggiunta di formaggi, creme, pistacchi, mandorle.
miscusi celebra le nonne, che impastavano acqua e farina la domenica mattina riunendo tutta la famiglia per il pranzo, e lo fa nell’atmosfera calda del salotto di casa, con la stessa convivialità di una lunga tavolata
miscusi celebra le nonne, che impastavano acqua e farina la domenica mattina riunendo tutta la famiglia per il pranzo, e lo fa nell’atmosfera calda del salotto di casa, con la stessa convivialità di una lunga tavolata.
Ideato da Alberto Cartasegna e fondato insieme al socio Filippo Mottolese, inaugura il primo locale nel febbraio 2017, a Milano in zona Cinque Giornate. A ottobre 2019 la quota è di 5 ristoranti nella città di Milano (Isola, Centrale, 5 Giornate, Cadorna, Colonne), un ristorante a Bergamo, uno a Torino e uno a Pavia per un totale di 8 locali. miscusi ha da subito raccolto l’interesse di diversi business angels tra i quali Alexander Samwer, fondatore di Rocket Internet, che tra i primi ha creduto nel progetto. A soli 20 mesi dall’apertura l’azienda ha chiuso un importante round di finanziamento da 5 milioni di euro con Milano Investments Partner (MIP) il cui anchor investor è Angelo Moratti. Nel 2019 ha un fatturato atteso di 10 milioni.
Ed è proprio questa idea di riportare tutto alla memoria che guida una nuova idea di ristorazione, che non vuole essere alternativa ma complementare, e vuole ricostruire una passione per ciò che la grandissima tradizione del nostro Paese sembrava aver dimenticato, presa dalla vorace commistione con altre culture, altre idee, altri modelli. Perché se mangiamo ciò che siamo, come spiega lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari ribaltando il principio di Feuerbach ‘L’uomo è ciò che mangia’, forse oggi, siamo decisamente alla riscoperta delle nostre nonne, orientati con il palato al passato glorioso delle trattorie. Tutto da riscoprire.