«Questo vigneto nasce da una lite. L’ho costruito a forma di ottagono, come Castel del Monte simbolo del nostro territorio, e al centro c’è un’agorà dove organizziamo eventi e le persone possono incontrarsi. Mio padre continuava a dirmi: ma che sono queste linee storte, produrrai meno vino! E io a rispondere: forse papà, ma produrrò sicuramente più relazioni».
Giuseppe Savino è il fondatore di VàZapp, hub rurale per creare innovazione nel mondo agricolo. «Hai presente cosa ti dicono i genitori quando si raccomandano di essere concreti e combinare qualcosa? Vai a zappare». Una frase che questi 15 ragazzi della Capitanata, da sempre terra di frontiera dello stivale, poco lontano da Cerignola che ha dato i natali a Giuseppe Di Vittorio ed è stata simbolo delle lotte bracciantili, si sono sentiti dire tante volte e l’hanno trasformato in un motto di rinascita, un’associazione e una cooperativa che aiuta gli agricoltori a innovare le loro aziende.
«Sono figlio di contadini – dice Savino – i miei genitori sognavano il posto fisso per me, il ‘riscatto’, invece io ho seguito ciò che sentivo. Mi sono accorto negli anni che nessuno ascoltava questi lavoratori. Mio padre veniva spesso chiamato a sentire delle persone che parlavano da un palco, anche con linguaggi magari per lui troppo complessi, ma mai nessuno metteva al centro la sua storia: “Loro raccontano di tanti problemi ma le mani le hanno pulite” mi diceva tornando a casa».
Da qui l’intuizione. «Qualcuno ha mai ascoltato gli agricoltori nei loro tempi, mi sono chiesto. Vengono sempre chiamati a partecipare ad assemblee in orario di ufficioma quando c’è luce l’agricoltore lavora. Allora abbiamo cominciato a organizzare le ‘contadinner’
Da qui l’intuizione. «Qualcuno ha mai ascoltato gli agricoltori nei loro tempi, mi sono chiesto. Vengono sempre chiamati a partecipare ad assemblee in orario di ufficio – spiega Giuseppe – ma quando c’è luce l’agricoltore lavora. Allora abbiamo cominciato a organizzare le “contadinner“, serate a casa di agricoltori dove invitavamo a partecipare le aziende vicine».
La “contadinner” funziona così: ognuno racconta a un agricoltore che non conosce la propria storia e l’altro poi la racconta a tutti i presenti. Questo fa sì che nessuno faccia pubblicità al proprio lavoro ma possa assorbire e cogliere particolari delle storie altrui. E dopo che cosa è successo? «E’ successo che ci siamo accorti che non si conoscevano nemmeno tra vicini. Pensavano di avere a fianco la concorrenza quando invece la concorrenza è fuori e solo insieme potevano davvero affrontarla».
Durante decine di incontri è stato chiesto alle aziende di compilare un questionario che poi è stato rielaborato da ricercatori delll’Università di Foggia (economia agraria e merceologia) e oggi esiste uno studio che dimostra come cambiano le aziende prima e dopo aver sviluppato relazioni tra loro: «Li abbiamo richiamati tutti a distanza di un anno ed è emerso come molti di loro abbiano iniziato lavorare insieme».
I giochi di parole sono la passione di Giuseppe e dei ragazzi di VàZapp, che hanno inventato anche gli “speak-nic”, incontri pomeridiani dove il cellulare viene lasciato in una cesta e ci si concentra sugli interlocutori, e una coperativa chiamata “terra terra”, per ricordarsi «di essere molto concreti» nel fare innovazione.
I giochi di parole sono la passione di Giuseppe e dei ragazzi di VàZapp, che hanno inventato anche gli “speak-nic”, incontri pomeridiani dove il cellulare viene lasciato in una cesta e ci si concentra sugli interlocutori, e una coperativa chiamata “terra terra”, per ricordarsi «di essere molto concreti» nel fare innovazione.
Oggi la loro esperienza si concentra nell’aiutare agricoltori, allevatori e viticoltori a usare al meglio i fondi regionali ed europei in una chiave più innovativa e meno conservativa. «Di solito questi fondi finanziano la meccanizzazione, ti aiutano a comprare un trattore, ma non c’è una parte che ti spinge a costruire la strategia di marketing, anche perché gli agronomi spesso non la conoscono. Ma così non c’è evoluzione» dice Giuseppe, che sogna di passare dalla “filiera corta” alla “filiera colta”, fatta non solo di fatica fisica ma anche intellettuale, per creare nuove occasioni e vedere l’agricoltura compiere un salto di qualità culturale.
Intanto lui prova a innovare l’azienda di famiglia, con un vigneto-agorà per mettere le relazioni al centro. «Così sono molto più credibile ai miei interlocutori, essendo legato a loro anche fisicamente, senza avere ‘le mani pulite’. Ci aprono le case perché siamo giovani, esperti e non gli chiediamo soldi. Spesso non ci capiscono ma noi insistiamo, è una sfida di mentalità».
E non c’entra l’eta. «A volte incontriamo padri illuminati e figli arresi. Il sacerdote che ci ha ispirati aveva 93 anni e pensava come un ragazzo. Noi vogliamo aiutare tutti a ragionare così».