«Torniamo con la memoria alla sera in cui è caduto il muro», esordisce Walter Veltroni a Linkiesta Festival. Oltre al mestiere della politica l’ex leader della sinistra italiana è regista, documentarista, saggista, giallista (ultimo libro, Assassinio a Villa Borghese, Marsilio). «Abbiamo avuto subito la sensazione che fosse finito il secolo – continua Veltroni. Il Muro di Berlino nasce con l’obiettivo di corrispondere fisicamente alla guerra fredda, ovvero alla divisione del mondo in due parti».
Ma i prodromi della caduta sono già del 1953, nella sanguinosa repressione russa contro gli ultimi, in nome dei quali era stato edificato un sistema autoritario. E poi ci fu l’Ungheria, nel ’56. In quella circostanza, se il Pci di fosse schierato con l’Ungheria, molte cose a sinistra sarebbero andate in modo diverso». Veltroni cita il verbale delle discussioni interne al Pci dell’epoca, oltre al carattere ideologico qualcuno aveva messo sul piatto la discussione: «E i lavoratori si ribellano a un sistema che era stato fatto in loro favore bisogna farsi delle domande»
C’è poi la pubblicazione della lettera dei 101 intellettuali. «Il ’56 per l’Italia è stato la grande occasione perduta. Non si ebbe il coraggio di fare il passo decisivo, modernizzatore, che non è mai stato fatto». Nemmeno cinque anni dopo la costruzione del muro di Berlino, e poi la Cecoslovacchia. Il tentativo di costruire un comunismo diverso fu represso nel sangue nell’agosto del 1968, mettendo fine all’esperienza di Dubcheck. «Dopo il ’68 la stretta comunista in tutti i paesi europei diventa molto violenta. L’Urss e i paesi satelliti si stringono, e in sostanza si votano alla loro distruzione. Ci vorranno diversi anni (più di venti). Anni di giornali unici, di pensieri unici. E a un certo punto maturerà una svolta».
Su Gorbaciov, «La storia non è stata ancora generosa», racconrta. «In un ristorante non ho visto il calore dei russi verso quel politico. Ma un giorno si riconoscerà che il suo ruolo è stato molto importante. La sua è stata la presa di coscienza che il sistema sovietico non stava in piedi».
Tutti noi abbiamo pensato che davvero fosse finito il tempo delle dittature: Spagna, Portogallo, Grecia, Cile, Brasile, Argentina. Erano cadute tutte. La sensazione era che fosse scattato il tempo della libertà
Ma anche l’Occidente nei confronti dell’Urss «era stato prudente per questioni di realpolitik». Anche da parte dell’amministrazione Kennedy ci si rendeva conto che uno scontro armato nel cuore dell’Europa sarebbe stato un disastro. «Quando Kennedy va lì, con quel discorso in cui disse Ich bin ein Berliner, recupera consenso e sensatezza». Ma anche la realpolitik di Willi Brandt «presupponeva l’esistenza di due blocchi. Il ragionamento era quello. La contrapposizione era strutturale, sembrava impossibile immaginare un mondo senza quella divisione».
Poi tutto crollò. «L’ho visto negli occhi di Nicolau Ceausescu, che, durante un discorso sente dei fischi. Prima isolati. Poi una marea. Finisce per scappare dalla sua residenza. In elicottero. Lì ho capito che si trattava di un tipo di storia inedita. La fine della storia, come dice Fukuyama. Tutti noi abbiamo pensato che davvero fosse finito il tempo delle dittature: Spagna, Portogallo, Grecia, Cile, Brasile, Argentina. Erano cadute tutte». La sensazione era che fosse scattato il tempo della libertà. «Fine del conflitto tra regimi autoritari e regimi democratici. Il mondo appariva aperto. Proprio in quel momento si preparava l’Europa Unita».
E adesso? «Possiamo dire oggi che il panorama del mondo dopo l’89 è pienamente cambiato. Democrazia e libertà non sono acquisiti per sempre. Invece per molti cittadini l’idea di una semplificazione delle decisioni attraverso forme non democratiche è migliore, e inevitabile. Siamo in una condizione del tutto inedita. Salutiamo la caduta del muro, ma dobbiamo chiederci se non siamo in una condizione di minaccia della libertà».
«Pensiamo alla drammatica situazione sudamericana, alla Spagna, alla stessa città di Dresda, che si considera sotto attacco “neonazista”. In tutta Europa si parla di muri, e divisioni costituzionali. Guardate quello che succede in Inghilterra, nei guai da anni con la Brexit. Guardate gli Stati Uniti, con il possibile impeachment a Trump. Ovunque troviamo elementi di destabilizzazione. Di fronte a tutto questo, e di fronte a elementi come la recessione economica (che dura da 11 anni). Per la prima volta l’Occidente ha smesso di crescere, è descresciuto, con un effetto politico sociale drammatico».
Citando Amos Oz, Veltroni conclude dicendo che identità e cultura non sono ossimori. Ma puri dati di realtà. L’ideologia sovranista è rimasta. Ed è applicata in tutto il mondo con gli stessi temi, lo stesso linguaggio, le stesse metodologie. Se una donna di 98 anni deve girare con la scorta è perché il mondo si è capovolto. Ecco, noi dobbiamo combattere contro il fatto che diventino praticabili parole, climi, violenze, che erano una volta impraticabili. Alla paura dobbiamo rispondere con la speranza razionale, ma dobbiamo tenere presente i problemi sociali che generano quelle ideologie, e neo ideologie.