La notizia è Il traditore di Marco Bellocchio non ce l’ha fatta. La pellicola presentata dall’Italia non ha superato il primo esame, che ha ridotto a dieci le 92 nomination per l’Oscar al miglior film straniero. Dopo le polemiche per l’esclusione – assurda – delle candidature della Nigeria e dell’Austria perché presentavano «una percentuale eccessiva di dialoghi in inglese» (tra le lingue ufficiali del Paese africano), la giuria ha scelto. I sette film migliori (più tre ripescati dalla Commissione esecutiva) sono, almeno dal punto di vista geografico, distribuiti in modo abbastanza equo.
C’è l’Africa, rappresentata da Atlantics della senegalese Mati Diop, c’è l’Asia, con il celebrato Parasite, commedia nera del regista sudcoreano Bong Joon Ho, che potrebbe vincere qualcosa anche fuori dalla specifica categoria del film internazionale. E, restando più o meno nell’area, c’è il russo La ragazza d’autunno, che ritorna sui giorni di Leningrado – vero e proprio mito fondativo, o rifondativo, dell’Unione Sovietica.
Ma è l’Europa, nonostante l’Italexit cinematografica, che domina. C’è la Spagna di Pedro Almodovar che convince i giudici con il suo Dolore e gloria, raro caso di film autobiografico. Poi la Francia, che con I miserabili di Ladj Ly racconta gli intrecci delle vite nelle periferie sul canovaccio del vecchio romanzo di Victor Hugo.
C’è spazio anche per la Polonia, con Jan Komasa e il suo Corpus Christi, film dominato dal tema del perdono e della redenzione. Ma anche per la Repubblica Ceca, con The Painted Bird di Vaclav Marhoul, per l’Estonia, con Truth and Justice di Tanel Toom, per l’Ungheria con Those who Remained, di Barnabas Toth e, infine, per la Macedonia del Nord con Honeyland di Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov.