«Corale». È nella sottolineatura di questa parola, pronunciata a voce alta alla Camera, che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dà il senso della sua informativa di 50 minuti al Parlamento sul Fondo Salva Stati. «Tutto quanto avveniva sui tavoli europei, a livello tecnico e politico, era pienamente conosciuto dai membri del primo governo da me guidato, i quali prendevano parte ai vari Consigli dei ministri, contribuendo a definire la corale collettiva posizione dell’esecutivo italiano sul tema», dice Conte. E il destinatario non è solo Matteo Salvini, che lo ha accusato di “alto tradimento”, ma anche e soprattutto il suo ministro degli Esteri, quel Luigi Di Maio che siede con il volto teso e gelido alla sua sinistra. Il sottotesto è: «Quando parlavamo del Mes, c’era Salvini e pure Di Maio». Che a poche ore prima dell’intervento del premier ripeteva ancora di «non voler firmare nulla al buoi», come se mai avesse saputo nulla di quel Mes del quale invece Conte dice di aver parlato più e più volte nell’esecutivo.
E il capo politico dei Cinque Stelle lo sa che quando Conte parla di decisioni condivise e consensuali, quando elenca le discussioni avute nel governo e nelle commissioni, quando cita l’agenda della sua segreteria con le «convocazioni di formali, ministri, viceministri, sottosegretari», con dovizia di date e documenti (quei faldoni che Conte espone alla Camera e al Senato), parla anche a lui. Di Maio resta immobile, guarda verso i suoi, non applaude anche quando qualcuno dagli spalti grillini accenna a battere le mani. Gli fa da contraltare il ministro dell’Economia Gualtieri, alla destra di Conte, che non perde occasione per applaudire, annuire ripetutamente e gesticolare come a dire “perfetto”, “esatto”, “non fa una piega”. Facendo intuire che in quelle pagine che Conte legge c’è più che il suo zampino. La spaccatura all’interno del governo sta tutta in questa immagine: l’intesa tra Conte e Gualtieri, e la freddezza di Di Maio.
A fine discorso, Gualtieri stringe la mano a Conte sorridente. I due si parlano, mostrano piena sintonia. Ma verso Di Maio Conte neanche si gira per cercare approvazione. Il ministro degli Esteri applaude solo dopo che il deputato 5S Francesco Silvestri dice: «Giusto che non ci sia stata la luce verde, il Parlamento dovrà avere l’ultima parola», ripetendo le parole del capo politico. E alla fine, quando Conte passa dalla Camera al Senato per ripetere di nuovo parola per parola la sua informativa davanti al plotone salviniano, Di Maio neanche si presenta. Nulla di grave, era già andato alla Camera, spiegano dal suo staff. Ma Gualtieri invece arriva anche a Palazzo Madama e, durante le repliche, ne approfitta per sedersi di nuovo accanto al premier.
La spaccatura all’interno del governo sta tutta in questa immagine: l’intesa tra Conte e Gualtieri, e la freddezza di Di Maio
Sembra un déja vu della crisi di agosto, quando però Di Maio sorrideva e al suo posto c’era Salvini. Conte ripete proprio delle parole usate quel 20 di agosto, in piena crisi estiva, parlando di «scarsa cultura delle regole e della più assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni». Ma solo al quinto minuto del suo discorso pronuncia il nome del «senatore Salvini», accusandolo di diffondere bufale e fare falsi allarmismi. Il premier sciorina poi le date dei consigli dei ministri in cui – dice – «nessuno della Lega ha mosso obiezioni». Tantomeno Di Maio, è il sottotesto, che invece nei giorni scorsi ha calvalcato la questione Mes tanto quanto Salvini. Fino ad arrivare ai ferri corti con Gualtieri nel vertice di maggioranza di domenica. «Di Maio, alzati, vattene», gli urla il leghista Claudio Borghi. Giorgia Meloni fa notare a Conte la «disonestà intellettuale di non rivolgersi alla persona seduta alla sua sinistra che su questo tema ha detto le cose che abbiamo detto noi». Il riferimento, è chiaro, è a Di Maio.
Dopo le urla, i «vergognati» e i «dove l’avete preso?» (riferiti a Conte), pronunciati dai leghisti e Fratelli d’Italia alla Camera, dove Salvini è arrivato pure per sostenere i suoi, e l’allineamento mostrato tra gli interventi di un messianico forzista Renato Brunetta («Trasformiamo questo dibattito per tanti versi ingiusto, lo riconosco, in qualcosa di positivo») e del Dem Graziano Delrio, la kermesse si trasferisce in Senato. E qui i torni si alzano. Negli spalti si rivede Borghi, arrivato dalla Camera a sostenere Salvini. Alberto Bagnai, tirato in mezzo più volte da Conte, si alza e fa un inchino davanti agli applausi dei suoi. La presidente del Senato, alla fine, è costretta sospendere la seduta due volte. I leghisti prima si passano cartelli con scritto “Pinocchio” e “Vergognati”. Poi l’ex ministro Giammarco Centinaio arriva quasi alle mani con il Cinque Stelle Vincenzo Santangelo, davanti a una attonita scolaresca di Fermo in visita a Palazzo Madama.
«Da agosto l’unica cosa che non è cambiata è il suo atteggiamento», esordisce il leader della Lega rivolgendosi al presidente del Consiglio, ma anche al suo pubblico, «a chi sta guardando la diretta in tv», dice. «Sui banchi del governo c’è qualcuno che mente», ripete Salvini, appellandosi poi agli «amici dei Cinque Stelle» che «spero – dice – non siano «complici di queste menzogne». Quasi a voler mettere il dito nella piaga e stuzzicare i palati per un ritorno a una nuova maggioranza sovranista ed euroscettica contro la nuova maggioranza Conte-Gualtieri.
E al Senato la debolezza della maggioranza di governo si è vista tutta. Con i soliti Cinque Stelle che potrebbero far mancare i numeri. È lo stesso Salvini a farlo notare a Conte, quando dice che «mancano 60 parlamentari della sua maggioranza. Ecco la fiducia che hanno in lei!». Di banchi vuoti, tra Cinque Stelle e Pd, in effetti ce ne sono. La senatrice Barbara Lezzi, nuova pasionaria del movimento, arriva solo quando Conte ha già concluso la sua informativa.
Dove eravate mentre ci aggiornavano? Vi eravate distratti?
«Dove eravate mentre ci aggiornavano? Vi eravate distratti?», dice la senatrice Emma Bonino ai leghisti. Il senatore a vita Mario Monti arriva a suggerire a Conte di non querelare, «piuttosto valutino le competenti autorità se in certe affermazioni false e tendenziose non siano da ravvisare gli estremi dell’aggiotaggio».
Chiuso il siparietto, Di Maio non si sbilancia e appoggia Conte, dicendo che il premier con il suo discorso «ha messo a tacere falsità e fake news diffuse dalle opposizioni in questi giorni, il che restituisce dignità al dibattito politico in corso, sul quale abbiamo apprezzato la posizione ribadita circa la logica di pacchetto come richiesto ieri al vertice di maggioranza dal MoVimento 5 Stelle». Aggiungendo che «il M5S oggi più che mai è compatto di fronte a la necessità di dover rivedere questa riforma che, ad oggi, presenta criticità evidenti».
Per superare l’impasse e la spaccatura interna al governo, la strategia del governo ora è quella di negoziare con l’Europa in occasione dell’Eurogruppo del 4 dicembre, seguendo la “logica di pacchetto”, che Conte ha ripetuto più volte e che ora sembra la chiave per risolvere la crisi. Cioè unire alla riforma del Mes anche un pacchetto di riforme, inclusa l’assicurazione europea per i disoccupati e l’assicurazione comune sui depositi per una mutualizzazione dei rischi. Ma in realtà è tutto rimandato all’11 dicembre, quando il Parlamento si pronuncerà in occasione delle comunicazioni che il presidente del Consiglio renderà in vista del prossimo Consiglio europeo. E mentre fuori tutto sarà pronto per il Natale alle porte, c’è chi sostiene che potremmo avere più di un deja-vu della crisi di governo estiva.