Era dai tempi di Mario Monti che non si leggeva una dichiarazione politica sui Cinque Stelle così stravagante da lasciare senza parole. Il senatore a vita ed ex premier, a proposito di Luigi Di Maio aveva detto alla Stampa che lo considerava «un raffinato borghese, con una compiuta articolazione intellettuale, mosso dal desiderio di essere e apparire moderato». Di Maio. Raffinato borghese. Con compiuta articolazione intellettuale.
La surreale definizione di Mario Monti è rimasta a lungo insuperabile pur tra gli arditi sostenitori dell’illusoria risoluzione di romanizzare i barbari. Senonché è arrivato Nicola Zingaretti, ieri sul Corriere della Sera, a marcare un nuovo record. A una domanda sul premier Giuseppe Conte, l’azzimato segnaposto scelto da Casaleggio prima per dirigere il traffico del governo sovranista con Salvini e poi per mantenere il punto nell’esecutivo che sta riuscendo nell’impresa contraria di barbarizzare i romani, lo sventurato Zingaretti rispose: «Autorevole, colto e anche veloce e sagace tatticamente. Non va tirato per la giacchetta. Anche se è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Giuseppe Conte. Autorevole. Colto. Ma, soprattutto, oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste.
Scartata l’ipotesi di una raffinata applicazione della tecnologia deep fake alla figura di Zingaretti, dietro la quale si sarebbe nascosto un temibile hacker russo, gli sconcertati osservatori politici sono stati costretti a fare i conti con la realtà: il segretario del Partito democratico, il principale dei partiti antipopulisti italiani, non solo ha rinunciato a esercitare un’egemonia culturale e politica sul governo con i Cinque stelle, non solo guida contromano in autostrada all’inseguimento di un’alleanza strategica con gli antidemocratici di Beppe Grillo, non solo si lascia scappare che Conte potrebbe guidare il centrosinistra alle prossime elezioni, ma arriva addirittura a dire che Conte, peraltro adesso mezzo scaricato dalla Associati e quindi ormai rappresentativo soltanto di Rocco Casalino e della ridente cittadina di Candela, in provincia di Foggia, «è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste» oltre che di Donald Trump, l’altro cantore con Zingaretti delle gesta epiche del nostro premier.
Proprio ieri scrivevamo che il Pd avrebbe ancora la possibilità di reindirizzare la maggioranza parlamentare su un programma di governo serio, anziché tirare a campare e a confermare tutte le porcate sovraniste e populiste avallate da Conte durante il governo in cui faceva da vice ai due vice Di Maio e Salvini per conto di una srl milanese. Ma adesso è ufficiale: con Zingaretti alla guida contromano del Pd è inimmaginabile pensare a un riequilibrio in termini di senno e ragionevolezza dell’azione di governo. La linea di resistenza passa ai tanti dirigenti responsabili del Partito democratico, dai padri nobili a Giorgio Gori, Matteo Orfini, Lia Quartapelle, Filippo Sensi, Stefano Ceccanti, Beppe Sala, Irene Tinagli fino ai più autorevoli membri del governo come Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola. Dovranno essere loro a riconoscere la realtà incredibile di uno Zingaretti ormai “oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze populiste” (semi cit.) e, finché sono in tempo, ad accelerare la ricerca di una strategia e di un leader alternativi. Fate presto.