Va bene che ci sarà da aspettare il risultato dell’Emilia Romagna, ma a prescindere se il conteggio dei voti sarà favorevole alla destra salviniana o al centrosinistra di Stefano Bonaccini e delle sardine è interessante capire che cosa stanno facendo sottotraccia i due principali partiti di governo, i Cinque stelle e il Pd, entrambi non in grandissimo spolvero in questo frangente. Dall’altro lato, la strategia della Lega e della Meloni è chiara e lineare: provare a sfondare in Emilia, vincere in Calabria e comunque vada a finire accusare il governo di ogni malvagità e continuare il mantra delle establishment elitario che perniciosamente nega le elezioni al popolo democratico pronto ad esercitare la sovranità.
Tutto sommato, la scommessa di Davide Casaleggio e di Luigi Di Maio ha un senso, per quanto spregiudicato: mezze dimissioni di Di Maio per far sfogare peones, dissidenti e amici di Giuseppe Conte e Rocco Casalino, oltre che per illudere il Pd e per sviare le responsabilità della catastrofe elettorale in Emilia e in Calabria, dopo quella in Umbria. Ma, soprattutto, il finto passo indietro di Di Maio è stato fatto per consentire al ministro degli Esteri di riacquistare la piena legittimità politica dentro il Movimento attraverso un processo decisionale amministrato dalla Casaleggio Associati.
Non è detto che l’operazione vada a compimento, Casaleggio potrebbe anche essere costretto a cambiare prodotto di marketing e sostituire Di Maio con il primo che capita, uno-vale-uno, ma in ogni caso il partito di Casaleggio si prepara a presentarsi da solo alle prossime elezioni nazionali, che si terranno con ogni probabilità con il sistema proporzionale, senza cercare alcuna intesa con il Partito democratico, intanto perché col sistema proporzionale non c’è alcun bisogno di allearsi prima del voto, semmai dopo, ma anche perché né Casaleggio né Di Maio hanno alcuna intenzione di riabbracciare il Pd.
Lo scenario più prevedibile oggi vede Casaleggio e Di Maio pronti ad andare al governo per la terza volta, ma a questo giro con Matteo Salvini, come ai bei tempi del contratto, anche perché stando ai sondaggi odierni l’unica maggioranza possibile dopo le prossime elezioni nazionali è quella Lega-M5S-Fratelli d’Italia, con un Salvini premier pronto a rifare la coalizione con Di Maio piuttosto che con quel che resterà del partito di Berlusconi.
Allo stesso modo, Giorgia Meloni non avrà problemi a entrare in un governo con i grillini perché questa volta il suo partito sarebbe determinante e con un peso sostanzialmente identico a quello dei Cinque Stelle. Uno sbocco perfetto per Casaleggio e Di Maio che gli consentirebbe di restare al governo pur avendo dimezzato i voti in un battibaleno per una manifesta incapacità. I cofondatori dei Cinque Stelle hanno dunque una strategia, al contrario di quella sciorinata dal terzetto Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini e Dario Franceschini che oggi guida il Partito democratico.
Il loro Pd punta sull’alleanza strategica con i grillini, sulla contendibilità dei Cinque Stelle e sulle capacità di Giuseppe Conte di essere «punto fortissimo di riferimento di tutte le forze di sinistra», tutte ipotesi più o meno stravaganti, a maggior ragione se associate al lasciapassare sulla riforma elettorale proporzionale che favorisce la separazione delle liste, non la coalizione di forze diverse.
Ad anticipare questo possibile suicidio politico del Pd, nei giorni scorsi c’è stata la scelta del mondo pubblicistico di sinistra di trasformare le elezioni in Emilia in un referendum su Salvini e sulle sardine, anziché mantenerle sull’unico terreno possibile per i progressisti, ovvero quello del buongoverno locale di Stefano Bonaccini.
Nell’attesa ormai vana che Zingaretti, Bettini e Franceschini si accorgano di essere a un passo dallo schiantarsi contro un muro, l’unica nota promettente di questa fase politica sembra essere la possibile “federazione del buonsenso”, che qui da tempo chiamiamo “Alleanza contro gli stronzi”, tra le forze liberali e progressiste riunite intorno a Italia Viva di Renzi ad Azione di Carlo Calenda, ai radicali di Più Europa, e magari allargata ai liberali anti sovranisti del centrodestra. Se riuscissero a stare insieme, cosa su cui al momento è sconsigliato scommettere, i buonsensisti potrebbero ottenere una rappresentanza parlamentare proporzionale al loro peso, ma magari determinante per la formazione del prossimo governo.