EpidemiaLe bufale e i complotti sull’influenza spagnola del 1918 sono molto simili alle panzane di oggi sul Coronavirus

Anche l’epidemia di un secolo fa ebbe un alone tossico di disinformazione. A partire dal nome, perché non si diffuse per prima in Spagna, ma in un campo militare del Kansas. Alcuni giornali scrissero per anni che era stata un’arma creata dall’esercito tedesco per vincere la guerra

CESAR MANSO / AFP

Ogni epidemia ha la sua infodemia, un alone tossico di panzane e disinformazione. Sentite cosa scriveva il quotidiano americano The Washington Times il 6 ottobre 1918: «Anzitutto bisogna dire che il termine “influenza spagnola” è chiaramente un errore, e che il nome dovrebbe essere “influenza tedesca”, perché l’indagine prova che la malattia ha avuto inizio nelle trincee germaniche. Dopodiché ha compiuto un giro dell’intero mondo civilizzato, nel corso del quale è esplosa con particolare virulenza in Spagna, a causa di certe condizioni locali». Sono i giorni di picco dell’infezione che farà 50, forse 100 milioni di morti in tutto il mondo, un numero cinque o dieci volte superiore alle vittime della Grande Guerra che sta per finire, e l’anonimo articolista ha ragione a dire che la Spagna non c’entra.

Ma è altrettanto ingiusto buttare la croce addosso agli odiati crucchi. I primi casi, in primavera, non si sono registrati nelle trincee del Kaiser, ma proprio in America, per l’esattezza a Fort Riley nel Kansas, in un campo militare di quasi centomila metri quadri, dove più di mille reclute sono rimaste contagiate. Da quando, nell’aprile del 1917, gli Stati Uniti sono scesi in guerra, il loro esercito è salito di colpo da 190 mila uomini a più di due milioni. E in maggioranza sono ragazzi alle prime armi, come il soldatino Charlot di Shoulder Arms. Molti di loro vengono da zone rurali dove vivevano in stretto contatto con polli o maiali: niente di più facile che il virus sia arrivato da lì, e che abbia fatto il salto dagli animali all’uomo proprio in qualche fattoria del Kansas.

Non influenza spagnola, dunque, e nemmeno tedesca: semmai americana. Ma non contento di dare in pasto al pubblico questa fake news, il Washington Times ne lancia anche un’altra, e ben più colossale: Che i germi dell’influenza siano stati segretamente disseminati in questo Paese da sommergibili tedeschi è un’accusa difficile da provare, ma i loro attacchi coi gas contro gli equipaggi dei nostri fari e navi-faro sono validi indizi contro di loro”. L’epidemia, insomma, non ha nulla di naturale. All’origine di tutto ci sarebbe un complotto criminale, la guerra biologica ordita dai servizi segreti di Guglielmo II ai danni degli Stati Uniti e dei loro alleati europei. È curioso che a propagare questa bufala sia una testata con lo stesso nome (The Washington Times) di quella che un secolo dopo, allo scoppio del Coronavirus COVID-19, ha messo in giro la leggenda del microrganismo ingegnerizzato uscito da un laboratorio militare di Wuhan. Ieri gli elmetti chiodati, oggi gli untori cinesi.

Nel 1918 non c’erano Facebook e Whatsapp, e neppure il TgCom24 di Paolo Liguori, pronto a dare per certa la notizia, «Confermata da fonte attendibilissima». In compenso c’era un conflitto mondiale, quel mostruoso mattatoio che abbiamo visto nel film di Sam Mendes, una corsa forsennata all’annientamento reciproco dove tutto sembra ammesso, compreso il cloro per gasare le trincee opposte, ma anche una macchina dell’odio che fabbrica a ciclo continuo le dicerie più assurde, ingigantite dalla cappa di censura sui mezzi di informazione.

Un mese prima dell’articolo sul Washington Times era stata un’autorità come il colonnello Philip Doane, responsabile della sezione sanitaria della marina mercantile Usa, ad accreditare le tesi cospirazioniste: «Sarebbe molto facile per uno di questi agenti del Kaiser rilasciare germi dell’influenza in un teatro o in qualche altro posto dove si radunano grandi assembramenti di persone. I tedeschi hanno iniziato le epidemie in Europa, e non c’è motivo per cui debbano essere particolarmente gentili con l’America».

Sono messaggi che trovano un terreno fertile nel clima ferocemente antigermanico degli Usa di Wilson, dove i cittadini americani di origine tedesca sono guardati con sospetto, quando non aggrediti e linciati, dove i pastori tedeschi diventano «cani poliziotti», i bassotti, invece di Dachshund, si chiamano liberty dogs, e nei menu dei ristoranti gli hamburger vengono ribattezzati «bistecche della libertà». In uno dei pochi romanzi ispirati alla Spagnola, “Bianco cavallo, bianco cavaliere” di Katherine Anne Porter, si legge questo scambio di battute tra i due protagonisti: «Dicono che dipenda da germi portati da una nave tedesca a Boston, una nave mascherata, naturalmente, non era mica venuta con la sua bandiera». «Chissà che non sia stato un sottomarino, sgusciato su dal fondo del mare nel cuor della notte: pare più verosimile».

Ma la propaganda fa breccia anche in Italia. Un medico di Melfi, tale Raffaele Pagniello (forse il nonno di Liguori?), scrive nel 1921 in un suo libello scandalistico: «Fu così che la Germania, nel 1918, non appena cominciò ad avere forte il dubbio sull’esito della guerra e, meglio, quando intravide che stava precipitando in un abisso irreparabile, dovette ricorrere ad un ultimo estremo mezzo di offesa. Ed ecco che, inaspettatamente, sorge e divampa la straordinaria epidemia della spagnola. A me parve, fin d’allora, che quella strage fosse voluta ed effettuata dai germanici. Essi potevano tenere, già pronte, colonie di germi d’influenza, a cui erano riusciti a dare fortissimo potere di virulenza. Essi soli avevano la capacità di mantenere il segreto della scoperta e la forza di ricorrere a quel nuovo mezzo di danno e di morte».

Il paradosso è che la guerra biologica, al quartier generale del Reich, l’avevano progettata sul serio. Ma non per far morire i soldati nemici o le loro famiglie: per sterminare cavalli e muli. E non certo col virus dell’influenza “spagnola”, che nessuno all’epoca è in grado di isolare e tanto meno di produrre in laboratorio. Le armi prescelte sono i germi ben noti dell’antrace e del cimurro. Si sa che iniettati o mescolati al foraggio hanno effetti letali, e gli eserciti nemici vedrebbero così decimati i loro preziosi animali da tiro. A preparare le micidiali fialette è un medico tedesco naturalizzato americano, Anton Dilger: suo padre era un eroe della Guerra di Secessione, lui sente nostalgia della Vaterland e diventa spia del Kaiser. Il piano per fortuna riuscirà solo in parte, a scapito di qualche centinaio di equini, e Dilger caduto in disgrazia sarà costretto a rifugiarsi a Madrid. Dove, ironia della sorte, morirà proprio di Spagnola.

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