Ci pensiamo noiDieci proposte per far spazio ai giovani in Italia, scritte dai giovani

Tortuga, il think tank economico di studenti, ricercatori e professionisti under 30, ha elaborato soluzioni concrete a problemi cronici. Dalla difficoltà del mercato del lavoro, alla fuga dei cervelli, fino alla necessità di un nuovo welfare

ANDREAS SOLARO / AFP

«Quanti anni hai?» «Venticinque.» «E come ti trovi in Italia?» «Beh, l’Italia è casa mia, però…» «Però?» «Però, in realtà sono cinque anni che vivo a Berlino, perché nella mia città, Messina, non trovavo lavoro, e alla fine ho deciso di andarmene.» «E tu, invece?» «Io ho ventinove anni e qui a Treviso mi trovo molto bene. Con il mio compagno aspettiamo un bambino.» «Davvero? Auguri allora!» «Grazie! Certo, la prospettiva mi fa un po’ paura, perché io lavoro, però alla fine un bambino vuol dire un sacco di spese in più e non so come ce la caveremo.» «Ah, capisco. A te invece come va la vita?» «Mmh, alti e bassi: ho finito la scuola superiore due anni fa. Poi non sapevo bene che cosa fare e quindi ho provato a iniziare l’università, Ingegneria meccanica a Roma, però non sono molto contento di come sta andando. Forse dovrei fare qualcosa di più pratico».

Ciascuno di noi ha una storia personale, fatta di scelte, relazioni con il mondo che ci circonda ed eventi più o meno fortunati. Eppure, in Italia, nelle storie di molti giovani di oggi compaiono alcuni tratti ricorrenti: mancanza di prospettive, alcune porte chiuse in faccia, strade sbarrate. E questo accade in contesti diversi: a scuola, nel mondo del lavoro, nella relazione con la propria famiglia e con i propri concittadini. Sono storie nascoste dietro ai numeri che sentiamo ai telegiornali: la disoccupazione giovanile da dieci anni oltre il 25%, sempre meno giovani in grado di permettersi un’abitazione propria, un indice di povertà assoluta raddoppiato nello stesso arco di tempo (oltre il 10% per i giovani sotto i 35 anni), un debito pubblico sulle spalle dei futuri lavoratori che pesa una volta e un terzo l’intera economia italiana, una crescita stagnante. Numeri a volte freddi, conditi da parole complicate, che tuttavia nascondono i problemi veri.

Tra le varie storie c’è chiaramente chi, per merito di capacità e impegno, o per qualche colpo di fortuna, riesce a correre più veloce e raggiunge traguardi che altri possono soltanto sognare. Qualcun altro che, già dai blocchi di partenza, ha più opportunità di altri. Ma sono casi rari quelli in cui il nostro Paese porta avanti chi è nato indietro, con un tasso di mobilità intergenerazionale inferiore ai principali Paesi sviluppati, e carriere sempre più spesso incanalate verso una sorta di discreta rassegnazione. Così il futuro diventa un rischio da cui proteggersi invece che un’opportunità per vivere una vita all’altezza delle proprie aspettative. Il nostro sembra sempre meno un Paese per giovani, e ciò va riconosciuto e detto ad alta voce, perché nel dibattito pubblico questa emergenza passa troppo spesso sotto silenzio.

Per comprendere i problemi dei giovani è utile mettere a fuoco quelli che, secondo noi, sono i due grandi fallimenti del sistema Italia di questo periodo: l’attaccamento alle rendite e l’incapacità di fare sistema. Da un lato, prevale l’ansia di difendere la propria condizione di relativo privilegio (quella che si può chiamare rendita), percepita evidentemente a rischio. Ciò a discapito della voglia di mettere in gioco le capacità proprie e dei propri concittadini, il proprio lavoro, la propria ricchezza. Sono rendite ovviamente le pensioni non in linea con i contributi versati, ma anche le posizioni dominanti in mercati poco concorrenziali, dove alcune imprese godono di privilegi rispetto ai concorrenti.

È una rendita la stabilità del posto di lavoro di chi è dentro il mercato quando va a scapito di chi ne è fuori e dei precari, ed è una rendita la posizione di certi professionisti e lavoratori protetti dalla concorrenza grazie a mercati di licenze ingessati o ordinamenti giuridici favorevoli. A fronte di una ricchezza purtroppo limitata, e come tale da accrescere e distribuire equamente, alcuni diritti vengono percepiti come benefici quasi innati, acquisiti e quindi intoccabili, trasformando così la legittima voglia di sicurezza in crudo attaccamento alla rendita. Un attaccamento controproducente, poiché è solo mettendo in gioco le proprie risorse che si può sperare di crearne di nuove, e di renderle più abbondanti per tutti.

In secondo luogo, c’è l’incapacità di fare sistema. Indro Montanelli rispondendo alla domanda su quale futuro vedesse per l’Italia, disse una volta: «Per l’Italia nessuno; per gli italiani, invece, ne vedo uno brillante». Una frase detta quasi con orgoglio, con sentimento di rivalsa, e che invece certifica la nostra più grande incapacità. Abbiamo ricchezze e talenti in abbondanza, ma come nelle migliori barzellette non riusciamo a coordinarle verso un obiettivo comune. In economia si chiamano «meccanismi di coordinazione» proprio tutte quelle istituzioni che mirano a mettere d’accordo i diversi attori di una società complessa per lavorare per il bene comune. È frutto di coordinazione l’offerta, per esempio, di servizi pubblici: trasporti, istruzione, pianificazione ambientale, di cui beneficiamo tutti garantendo rispettivamente meno inquinamento, società maggiormente in grado di innovare e crescere, città più pulite e ordinate, per citare solo alcuni casi. In Italia molti di questi meccanismi di coordinazione sono sottosviluppati rispetto ai principali Paesi europei.

È il frutto di scelte politiche e di spinte democratiche che evidentemente ne sottostimano l’importanza, e di una cultura basata spesso sulla furberia che devia dal meccanismo di coordinazione. Come in un puzzle, se ognuno possiede un pezzo ma tutti si rifiutano di condividerlo con il gruppo, l’immagine originale (più bella della somma dei singoli pezzi) non verrà mai ricomposta. Forse per paura di perdere qualcosa, forse per mancanza. Se invece fossimo in grado di fare più sistema, potremmo generare più ricchezza e più opportunità per tutti.

Questo era un estratto di: “Ci pensiamo noi. Dieci proposte per far spazio ai giovani in Italia” (Egea) scritto da Tortuga, un think-tank di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell’economia e delle scienze sociali, nato nel 2015. Attualmente conta 51 membri, sparsi tra Europa e il resto del mondo. Offrono alle istituzioni, associazioni e aziende un supporto professionale alle attività di ricerca o policy-making.

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