Marionette senza filiIl coronavirus come autobiografia di una nazione da opera dei pupi

Questa sindrome è la cartina di tornasole di un Paese che quando ha un problema, prima di cercare una soluzione va alla ricerca del colpevole. E sta celebrando attorno a questa emergenza sanitaria il suo ennesimo suicidio civile. Non si può combattere Covid-19 come se non ci fosse nient’altro

MIGUEL MEDINA / AFP

L’emergenza coronavirus si conferma una straordinaria cartina tornasole delle debolezze di un Paese che, quando ha un problema, prima di cercare una soluzione cerca un colpevole. Appena si è saputo che il Covid-19 era già scappato dal primo focolaio cinese e aveva accumulato un ragguardevole vantaggio sugli inseguitori, in Italia è partita la caccia al colpevole di quello che non era ancora successo, ma prima o poi sarebbe accaduto. E come era prevedibile, questo autodafè preventivo, in cui ciascuna “parte” ne processava e condannava un’altra, per contendersi i favori del popolo e la sua rappresentanza, ha innescato l’impazzimento dei processi istituzionali – e non solo politici – della “macchina” a cui era affidato il contenimento del contagio. Alla fine, dopo settimane in cui la Lega accusava Giuseppe Conte di mettere a repentaglio la salute degli italiani con la sua mano leggera sui barconi e la sua riluttanza a ordinare la quarantena generalizzata per i cinesi di rientro in Italia, il presidente del Consiglio ha accusato la sanità leghista lombardo-veneta di avere commesso gli errori fatali, che hanno portato alla formazione dei due focolai epidemici, per cui l’Italia è finita sulle prime pagine di tutto il mondo.

Questa sindrome ha subito aggredito il corpo sociale dell’Italia, prima che il virus infiltrasse il corpo fisico di alcuni italiani. Il capitale di fiducia è decisivo per affrontare emergenze sanitarie in cui occorre innanzitutto affidarsi alla collaborazione e al coordinamento spontaneo di milioni di persone e buona parte di questo capitale è finito bruciato nel falò delle vanità politiche e scientifiche e in un dibattito pubblico, che media e istituzioni hanno orchestrato in modo tale da rendere l’emergenza coronavirus, una sorta di opera dei pupi in cui tanti eroi, nella forma di marionette, se le danno di santa ragione.

In questo contesto, è emersa un’altra caratteristica del nostro sistema Paese, del tutto coerente con la precedente, rappresentata dal rifiuto ideologico di qualunque principio di compatibilità e perfino di possibilità. Sembra che qualunque analisi di costi-benefici nelle decisioni pubbliche o di costi-utilità rispetto ai progetti sanitari nel caso Covid-19 debbano essere sospesi. Le ricette che riscuotono più successo – perché sono le più psicologicamente lenitive, anche se praticamente irrealistiche – sono quelle più “assolute” e quelle più “a prescindere”, cioè quelle più distopiche, perché ovviamente gestire un’emergenza sanitaria significa continuare a governare tutto il paese (o il mondo) che ne è attraversato e minacciato: la sua economica, la sua vita civile, la sua stessa sanità pubblica che non può essere interamente riconvertita alla lotta al coronavirus.

Non si può combattere Covid-19 come se non ci fosse nient’altro che Covid-19, perché continua a esistere anche tutto il resto, che rischia di finire strozzato dalle quarantene campanilistiche per forestieri disposte da sindaci e governatori, dall’effetto panico suscitato prima dalla sfiducia che dal timore e dal “fermo macchine” decretato in ordine sparso da imprese e uffici, che non sanno che pesci pigliare di fronte a una informazione ufficiale in cui tutti si danno sulla voce.

A sentire molti politici e anche uomini di scienza nelle ultime settimane si aveva l’impressione che per loro l’emergenza Coronavirus non implicasse, come ogni scelta politica, una ponderazione di interessi nell’utilizzo di risorse per loro natura scarse e finite, ma rendesse possibili obiettivi manifestamente impossibili, anzi rendesse doveroso parlare come se tutte le restrizioni e i limiti dell’azione pubblica fossero limiti estrinseci – colpevoli, interessati, loschi – e non intrinseci al funzionamento dello Stato, anche nelle fasi di emergenza. La politica, anche quando maneggia valori fondamentali come la vita e la salute dei cittadini, rimane il “governo della scarsità”, non la festa dell’abbondanza ope legis, né la liturgia del nothing’s impossible. Tutto questo non spiega perché l’Italia sia stata colpita dal coronavirus, ma perché stia celebrando attorno a questa emergenza sanitaria il suo ennesimo suicidio civile.

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