Da 102 anni, avverte l’Istat, l’Italia non aveva un ricambio demografico così negativo: nel 2019 solo 435.000 nascite, e 116.000 italiani in meno. Economisti, sociologi e demografi avvertono che ormai sta diventando una vera e propria emergenza. Proprio per provare ad affrontarla il ministro delle Pari Opportunità e Famiglia Elena Bonetti ha messo a punto un Family Act che verrà presentato oggi alle 19 al Teatro Parenti di Milano.
«Sono dati preoccupanti quelli che l’Istat ha certificato e che ulteriormente impegnano la politica a dare risposte pronte ed efficaci a una situazione che da troppo tempo segna il nostro Paese: il calo delle nascite e un basso tasso di fecondità», spiega il ministro Bonetti a Linkiesta in anteprima. «Un Paese che ha un simile problema di carattere demografico vive su di sé due conseguenze: il calo di popolazione giovanile in prospettiva e quindi, potenzialmente, un calo sia dal punto di vista economico che nella tenuta sociale e del welfare. E, dall’altro lato, un elemento che possiamo ricondurre a questo fenomeno, un deficit di speranza personale e collettiva che il nostro Paese deve invece essere in grado di attivare».
Spiega dunque Elena Bonetti che «per questo motivo servono subito politiche di investimento nelle famiglie, non soltanto a sostegno ma nel segno di una loro valorizzazione come luogo di costruzione di relazioni sociali positive. Politiche che riabilitino le persone a una libertà di scelta e a una dimensione di prospettiva e di speranza sulla quale costruire le scelte del futuro, tra cui quella della genitorialità. È proprio in questa direzione che abbiamo concepito il Family Act, un sistema integrato di proposte che in questi giorni verrà messo in campo, di concerto con il presidente Conte e con tutte le forze della maggioranza».
Come spiegano da tempo gli studiosi, il problema di fondo è che mentre nelle società povere un figlio è un investimento, in quelle ricche diventa un consumo. Come ricorda un grande demografo come Massimo Livio Bacci nel suo classico Storia minima della popolazione del mondo, nel mondo pre-industriale il costo di allevamento di un figlio è basso. «In aree rurali e in certe condizioni, i figli possono costituire un guadagno netto per genitori. Il lavoro infantile e giovanile compensa i costi sostenuti dalla famiglia che, comunque, nelle economie povere non sono levati». Inoltre, «In molti contesti sociali, i genitori considerano i figli una garanzia di aiuto economico e materiale, oltreché affettivo, nelle età anziane. Indagini in Indonesia, Corea, Filippine, Thailandia e Turchia segnalano che l’80-90% dei genitori intervistati conta, per l’età avanzata, sull’appoggio economico dei figli. In ogni caso è naturale fare assegnamento sull’appoggio dei figli contro il rischio di estrema avversità».
Al contrario, in una società come la nostra fare figli è un lusso, che può costare caro. Nel 2011 Federconsumatori fece una stima in base alla quale sommando le spese di alloggio, alimentazione, trasporti e comunicazioni, abbigliamento, salute, educazione, cura e varie, un ragazzo nei suoi primi 18 anni di vita sarebbe costato 113.700 euro in una famiglia a reddito basso sotto i 22.100 euro l’anno; 170.904 in una famiglia di reddito medio attorno ai 37.500 euro l’anno; 271.350 in una famiglia di reddito alto oltre i 68.000 euro l’anno. Ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano e consulente del ministro Elena Bonetti per questo Family Act, Alessandro Rosina nell’intervento sul tema fatto all’ultima Leopolda spiegò addirittura che in Italia le famiglie per far crescere i figli rischiano addirittura la povertà, è in misura molto maggiore che nel resto d’Europa.
Rosina in quell’occasione spiegò però anche la necessità di un cambiamento culturale «che porti a considerare un figlio non solo e non tanto come un costo privato, ma come un bene collettivo sul quale tutta la società ha convenienza a investire per il proprio futuro». Perché è evidente che una società con il rapporto tra le varie fasce di età squilibrato rappresenterebbe un costo insostenibile: basti immaginare a una situazione in cui i pensionati siano più di chi lavora.
Ricapitolando, secondo l’Istat 435.000 nati vivi, di cui il 19,6% da madri straniere, contro 647.000 decessi rappresentano il livello di ricambio naturale più basso dal 1918: anno in cui al massacro della Grande Guerra era seguito quello della Spagnola. La popolazione residente è in calo da 5 anni consecutivi, l’età media dei 60,3 milioni di residenti è di 45,7 anni, gli stranieri sono l’8,9%, solo in Trentino-Alto Adige non diminuisce la popolazione di cittadinanza italiana. La speranza di vita alla nascita è di 81 anni per gli uomini e di 85,3 per le donne. Il numero medio di figli per donna è 1,20. L’età media al parto è 32,1 anni. Rispetto all’estero ci sono state 307.000 iscrizioni anagrafiche e 164.000 cancellazioni.
Commentando questi dati, Rosina ha osservato che mentre l’Italia resta ostinatamente in coda alla media europea di natalità, la Germania dopo essere scesa a livelli inferiori ai nostri dal 2008 ha ripreso a risalire. Ma anche la Provincia di Bolzano ha fatto lo stesso. Germania e Provincia di Bolzano hanno in comune di avere effettuato politiche di sostegno alla natalità, e anche di avere un basso livello di Neet: giovani under 35 che né studiano né lavorano. In Italia è crollata sia la propensione a fare figli prima dei 30 anni, per via della difficoltà a trovare un lavoro stabile; sia quella a “recuperare” tra i 30 e i 34, per via della difficoltà a conciliare la famiglia con le esigenze del lavoro appena trovato.
Il Family Act, dunque, contempla innanzitutto in un assegno universale da dare per ogni figlio dalla nascita all’età adulta, fin dal 2021: tra i 100 e i 250 euro al mese, a seconda del reddito. Si parla poi di rimborso e defiscalizzazione per le spese educative: asili nido, baby sitter, musica, sport. Il ministro Bonetti ricorda che è stato già avviato un contribuito tra i 1500 e i 3000 euro all’anno per gli asili nido, e un assegno di natalità per il primo anno di vita che va da 80 a 160 euro a seconda del reddito. Ma promette anche un nuovo sistema di detrazione nella riforma dell’Irpef, congedi parentali obbligatori fino a un mese anche per i padri, e un sostegno economico dopo la maternità perché non risulti poco conveniente rientrare al lavoro. «Restituire speranza e fiducia», è il suo slogan.