Letture per la quarantenaCosì la fisica ci aiuta a muoverci nell’incertezza della vita quotidiana (e viceversa)

Gli attuali commissari europei avrebbero finanziato gli studi che hanno portato alla formulazione del principio di indeterminatezza? Secondo l’autore di “Fisica dei rapporti umani”, forse no. Ma il suo test scherzoso permette di illuminare il percorso intellettuale, da brivido, della scoperta

Un pomeriggio di giugno, in un locale all’interno dell’aeroporto internazionale di Bruxelles, a Zaventem. Sono qui con altri quattro pittoreschi personaggi, con cui abbiamo condiviso una settimana di valutazioni di proposte progettuali da tutta l’Europa, per dare il nostro parere tecnico alla Commissione Europea sul finanziamento o meno da assegnare. Stiamo per tornare alle nostre rispettive case: Gianluca, fisico di Napoli, che vive di fronte al mare e ci parla in continuazione di mozzarelle; Lorenzo, ingegnere svizzero, con un umorismo tutto elvetico; Gilles, fisico, sportivo e imprenditore marsigliese con la faccia vissuta dell’uomo mediterraneo; Davide, ingegnere milanese con il piglio simpatico da “milanese imbruttito” e una sconfinata cultura sull’energia; io tornerò, come Davide, alla mia Milano, dove ritroverò le mia quattro donne di casa, un po’ di spaghetti (sconosciuti o pericolosi a Bruxelles) e, da lunedì, il mio lavoro.

Ripenso alle ore passate insieme nell’edificio della Commissione, dalla facciata bellissima e dai corridoi anonimi, dove ci sono transitate tra le mani decine di proposte da settanta pagine l’una, piene di conoscenze profonde e di sogni di gloria, di ragionamenti lineari e qualche arrampicata sugli specchi, di idee brillanti e richieste di fondi che – se arriveranno – si trasformeranno, anche e soprattutto, in giorni di lavoro appassionato e pionieristico di nuovi giovani al lavoro. Le regole della Commissione sono strette, ma corrette, e lasciano un po’ di spazio anche all’empatia e all’umanità, a patto che dopo si stemperino in un giudizio condiviso e oggettivo. Ogni proposta è valutata da tre diversi esperti che, dapprima, stilano da casa loro un report individuale sulla proposta ricevuta e letta con attenzione, poi si trovano in una stanza a Bruxelles con un rappresentante della Commissione e un rapporteur madrelingua inglese, incaricato di redigere un verbale ineccepibile e – nell’intervallo di due ore – devono analizzare le proprie posizioni e quelle degli altri e… arrivare a un consenso.

Già, un consenso. Questa parola sa, a volte, di “compromesso”, con tutte le sue valenze negative e un po’ scivolose. Sarebbe lecito domandarsi come può esserci necessità di un consenso-compromesso, quando si giudica un progetto scientifico-tecnico, che non dovrebbe lasciare spazio, nell’immaginario collettivo, a differenti interpretazioni. Due più due fa quattro, no? Che bisogno c’è di più opinioni e di raggiungere un “consenso”?

Quando gli esperti valutatori arrivano a Bruxelles per iniziare i cosiddetti consensus meeting, viene consegnato loro un foglio intitolato DO’s and DON’Ts of an effective consensum meeting teamwork, “Cose da fare e da non fare per un lavoro di squadra in una ‘riunione di consenso’ efficace”.

Tra le altre, schematiche, raccomandazioni, si legge:

• “Ascolta le opinioni degli altri, NON trascurarle”,

• “Tieni la mente aperta, NON stare attaccato al tuo rapporto individuale iniziale”,

• “Sii preparato a modificare la tua opinione iniziale”, ma anche

• “Non introdurre materiale [cioè informazione ndr] che avresti voluto vedere nella proposta progettuale [ma che non c’è ndr]”

• “NON fare ipotesi sulle intenzioni dei proponenti se il progetto non presenta evidenze fattuali di esse”

• “NON accettare voti che sono in disaccordo con i commenti fatti”

Le prime tre raccomandazioni riguardano l’umiltà, le altre tre, l’onestà intellettuale. Sono due qualità fondamentali nell’interazione con gli altri, anche e soprattutto di fronte a un oggetto comune su cui confrontarsi con un metodo “scientifico”.

Facciamo un esperimento ideale. Immaginiamo di essere a Bruxelles per le valutazioni e di ricevere una proposta progettuale da un giovane fisico, un tale Werner Heisenberg, e un’ulteriore proposta da un altro fisico – sempre tedesco – di nome Erwin Schrödinger. Entrambi, uno all’insaputa dell’altro, chiedono soldi per rimpolpare i loro gruppi e i loro laboratori con giovani ricercatori e strumentazioni più moderne e per finanziare i viaggi che permetteranno loro di andare a discutere con gruppi lontani e presentare le loro idee a congressi internazionali.

Leggiamo la proposta di Heisenberg: lavorare sull’ipotesi che – per spiegare la struttura della materia – si debba partire dalla misura di quantità realmente osservabili, come la luce emessa dalla materia quando viene stimolata con fonti di energia esterne, ricollegandola ai livelli energetici dell’atomo, visto come un oscillatore elettromagnetico e costruendo una matematica apposita, fatta di complicate matrici e un’astrazione notevole.

I suoi risultati preliminari mostrano che si arriva ad affermare un’intrinseca inconoscibilità contemporanea di alcune classi di grandezze…piuttosto inaudito. Uno di noi è entusiasta della proposta e ritiene che vada finanziata. Gli altri, per quanto riconoscano che la proposta parta da presupposti solidi, trovano che si avventuri poi in sentieri della mente talmente complicati da indurci a pensare che, probabilmente, non arriveranno a nulla di tangibile nel periodo coperto dal nostro finanziamento, tanto più che le conclusioni preliminari sembrano molto bizzarre: meglio non rischiare e – visto che le risorse a nostra disposizione sono limitate – favorire qualcuno che ha le idee più chiare.

Passiamo ad analizzare la proposta di Schrödinger. Ci chiede soldi per lavorare sullo sviluppo delle soluzioni – in varie condizioni – di un’equazione da lui formulata, che descriverebbe il comportamento di un’onda associata a un elettrone nell’atomo. È vero che, come lui cita nella sezione relativa alla conoscenza preesistente, va di moda questo dualismo onda-particella; questa nuova tendenza teorica ci lascia un po’ dubbiosi rispetto alla consistenza delle ipotesi, che paiono inventate apposta – e in modo piuttosto imbarazzante – per spiegare alcuni fenomeni, come gli spettri atomici e la stabilità delle orbite degli elettroni. Apprezziamo l’intento del giovane Erwin di voler calcolare qualche ricaduta tangibile della teoria, che si ricolleghi a fenomeni osservabili, ma la sua interpretazione del modulo al quadrato della funzione, che rappresenterebbe la probabilità di trovare l’elettrone in quel punto e in quell’istante, è forse eccessiva: i tempi non sono maturi e preferiamo non investire in una fase di ricerca che si basa su una visione, quella del dualismo onda-corpuscolo, ancora non ben consolidata. Consiglieremo al ricercatore di riproporre la sua idea tra qualche anno.

Quello che ci stupisce è che entrambi, pur senza conoscersi e senza aver letto l’uno i lavori dell’altro, arrivano ai medesimi banchi di nebbia: Heisenberg afferma che non è intrinsecamente possibile conoscere con precisione assoluta alcune coppie di variabili; Schrödinger conclude che di una particella possiamo solo calcolare la probabilità che si trovi in un certo punto a un certo istante.

Probabilmente una valutazione come quella sopra, verrebbe considerata fair, corretta. Magari un po’ conservativa, ma corretta, e tutto finirebbe lì. Si passerebbe ad analizzare le altre proposte ricevute, con la coscienza sufficientemente a posto. Ma, nel profondo, ci resterebbe il dubbio fastidioso della coincidenza dei risultati dei due approcci inizialmente “estranei”.

da Fisica dei rapporti umani, di Furio Gramatica, Hoepli (2020)

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