In un governo di coalizione è il presidente del Consiglio che deve farsi carico delle proposte dei vari partiti e far quadrare il cerchio della politica: bisogna ribadire questa banalità per chiarire che a Giuseppe Conte tocca decidere di cosa fare del cerino che ha in mano. Renzi ha posto quattro condizioni, lui le chiama più semplicemente proposte. Il premier vuole aprire una trattativa su di esse, o su parte di esse, o no? Se sì, il governo va avanti pur in una condizione certamente più scivolosa di prima. Altrimenti, Renzi saluta e se ne va all’opposizione. Forse la facciamo troppo semplice ma ridotta all’osso la pantomima di questi giorni è tutta qui, se negoziare pezzi di un nuovo programma nelle materie indicate da Italia Viva oppure, del tutto legittimamente, considerare che il programma resta identico a quello di ottobre e chiusa lì.
Dicevamo che Renzi ha posto 4 punti. «Non chiediamo – ha detto – nomine o sottosegretariati: chiediamo che ascoltino (anche) le nostre idee. Noi abbiamo messo sul tavolo 4 grandi temi: sblocchiamo con i commissari i cantieri fermati dalla burocrazia; eliminiamo o modifichiamo il reddito di cittadinanza che non funziona; lavoriamo per una Giustizia Giusta, per i diritti e contro il populismo giustizialista; cambiamo le regole insieme per eleggere il Sindaco d’Italia dando cinque anni di stabilità al Governo».
Sul primo punto non si vede perché, al di là delle tecnicalità, il presidente del Consiglio non dovrebbe convenire dato che quello di velocizzare le opere pubbliche è sempre un obiettivo largamente condiviso. Sul reddito di cittadinanza c’è il veto dei grillini a discuterne ma avviare una discussione su alcuni punti che non hanno funzionato (tutto il capitolo delle politiche attive per il lavoro) vedrebbe anche il Pd disponibile. La giustizia è l’altro tabù dei Cinque Stelle, ed effettivamente, per come sono andate finora le cose sulla prescrizione, è molto difficile venire incontro alle posizioni dei renziani. Infine, la proposta del Sindaco d’Italia, pur avanzata in modo frettoloso, improvviso e fuori contesto, potrebbe però riaprire quel tema delle grandi riforme costituzionali abbandonato dopo il naufragio del referendum voluto proprio da Renzi.
Ci sono molti modi per tentare di raddrizzare un sistema che mostra segni di evidente logoramento: sono le stesse preoccupazioni che nel 2013 portarono alla formazione della Commissione Letta istituita da Giorgio Napolitano che alla fine di un ottimo lavoro partorì la proposta di un governo parlamentare del premier, che non è certamente l’elezione diretta del capo del governo ma una congruente risposta al medesimo problema, il rafforzamento dell’esecutivo. La Commissione Letta era composta da autorevolissimi studiosi e importanti esponenti politici. Fra questi – ricordiamolo – c’era anche quel Giancarlo Giorgetti (al quale in questi giorni il tema delle riforme costituzionali è stato posto) che pare abbia una canale diretto con il capo di Italia viva. E addirittura c’è chi dice che all’indomani di una eventuale caduta del Conte bis si potrebbe pensare a un governo Giorgetti per le riforme.
Insomma, al di là del merito, è evidente che il problema è squisitamente politico. Il premier e il Pd vogliono tenere Renzi nel governo o lo considerano ormai come un intralcio di cui disfarsi? Questa è la domanda dinanzi a Conte e a Zingaretti. Prima dell’incontro fra l’avvocato e il Fiorentino ci sono ancora alcuni giorni per chiarirselo.