Lui lo considera «una lettera d’amore per i giornalisti», un film con cui esprime la sua passione per la carta stampata e la capacità di trovare e raccontare storie. Per la precisione The French Dispatch, il prossimo film di Wes Anderson che uscirà in estate, racconta le vicende dell’omonimo, fittizio, magazine. Una rivista che somiglia assai – nelle copertine, nelle storie che propone, perfino nei personaggi che lo popolano – al New Yorker, il celebre e raffinatissimo settimanale americano. E quelli del New Yorker ne sono molto orgogliosi.
L’azione si svolge in un’inestistente cittadina francese, Ennui-sur-Blasé, nel dopoguerra, e illustra, in occasione della preparazione di un numero commemorativo, le tre migliori storie mai pubblicate dal magazine. Una sul rapimento di uno chef, un’altra sul caso di un artista condannato all’ergastolo per duplice omicidio, e la terza incentrata sulle proteste parigine del ’68. Tutte vicende per le quali, si fa notare, ha tratto una lontana ispirazione da articoli proprio del New Yorker.
Un omaggio, insomma, per un magazine che il regista ha sempre ammirato. Lo legge da quando è ragazzo, ne colleziona i numeri ed è arrivato a ripescare, in edizioni rilegate, tutte le uscite fino agli anni ’40.
Una lettera d’amore per i giornalisti, quindi. Soprattutto a quelli che, da quasi un secolo, fanno un prodotto di qualità: cosmopolita, raffinato e quando serve (come per le inchieste su Weinstein).