«Ora che siamo tutti a casa, iniziamo davvero a soffrire di claustrofobia». Chiara è insegnante di Lettere in una scuola media ed è sposata con Roberto, anche lui docente della stessa materia, sempre alle medie. Hanno due figli, Alice e Matteo, rispettivamente di 10 e 13 anni. Da quando le scuole hanno chiuso anche a Milano per via dell’emergenza coronavirus, si sono ritrovati rinchiusi da un giorno all’altro. Una situazione che ha spiazzato tutti in famiglia, specialmente i bambini. «All’inizio per loro era come una vacanza, il maschio si è fatto una scorpacciata di videogiochi. Adesso però più che altro sono spaesati. Soprattutto la piccola, perché i normali ritmi della vita sono stati messi in discussione e non hanno punti di riferimento». Da mamma (e anche un po’ da maestra), Chiara sa che è fondamentale cercare di garantire ai figli delle giornate il più regolari possibili, scandite da orari che permettano di mantenere un qualche genere di routine. «Usciamo la mattina, andiamo a fare la spesa, al pomeriggio magari facciamo un giro in bici. Di stare in pigiama tutto il giorno non se ne parla». Rispetto al virus non si sente molto tranquilla, «però in generale cerco il più possibile di tenere un equilibrio», dice. La sfida, più che altro, «è farsi venire ogni giorno un’idea per qualcosa da fargli fare».
Roberto, suo marito, di questo momento invece apprezza il fatto di poter trascorrere del tempo di qualità con i suoi figli. È invece più preoccupato per i suoi studenti. «Alla mia classe ho mandato una mail per dire che io sono sempre qua. Mi sono arrivati tanti loro messaggi di spaesamento e mi rendo conto che la vivono male. Sulla chiusura della scuola non c’è l’esaltazione della nevicata dell ’85, piuttosto un senso di abbandono». Nella vita di un preadolescente, la routine scolastica è uno dei capisaldi, e se viene a mancare, è facile sentirsi persi. In molti gli hanno chiesto di fare didattica online, ma la sua scuola non era preparata. «Ora si è predisposto che il registro elettronico diventi una sorta di archivio per i compiti, che però sono molto freddi e impossibili da portare avanti se gli studenti non hanno autonomia. Io per il momento propongo dei temi e dico loro di declinarli in testi scritti o altro», racconta a Linkiesta. Solitamente, in classe usa molto il multimediale e i temi del cinema e dei social. Ma sulla creazione di una classe su Google Hangouts al momento si sta trovando in difficoltà. Con il digitale a scuola molto è ancora lasciato al fai da te degli insegnanti. Roberto però pensa che questa sia comunque un’occasione positiva per cercare di svecchiarsi un po’: «Con i colleghi è da tre ore che siamo in chat a capire come smanettare», dice.
Anche Anna, mamma di Gabriele (10 anni), è insegnante alle elementari. Da lui in questi giorni si è fatta aiutare a preparare una presentazione PowerPoint per i suoi alunni da caricare su Classroom, la piattaforma di Google per le lezioni online. Anche lei è contenta di poter dedicare più tempo a suo figlio. «Questa settimana abbiamo fatto due torte insieme, non succedeva da una vita», racconta. Ha cercato un modo per spiegargli che cos’è il coronavirus e perché devono stare a casa: «Gli ho detto che questo virus è una cosa nuova, e che come tutte le cose nuove fa paura. Del resto sente me e mio marito parlarne e le notizie dalla tv accesa gli arrivano. Ma non voglio che si spaventi, e gli dico che la scienza va avanti, che bisogna avere fiducia». Per loro, a pesare di più è la noia che deriva dalla mancanza di impegni: bambini che normalmente hanno tutti i pomeriggi occupati tra sport e altre attività, di colpo si ritrovano rinchiusi e senza niente da fare, diventando molto più irritabili e lunatici. «Io da piccola mi accontentavo di giocare davanti a casa, loro invece hanno bisogno di molti più stimoli», spiega Anna. È difficile persino incontrarsi con gli amici, di questi tempi: «devo sempre pregare nella clemenza di qualcuno che sia disponibile a vedersi. Ma tanti genitori hanno paura del contagio», ammette.
Serena, invece, è una libera professionista e di figli ne ha tre: Rocco, il più grande, di 16 anni, Tito di 13 e mezzo, Maria di 6. Per metà del tempo fa la mediatrice familiare, per l’altra gestisce una società di abbigliamento etnico per bambini insieme a due amiche. «Io sono abbastanza fortunata, perché è già da tempo che li ho abituati a stare da soli con la sorellina se devo uscire per lavorare. Ho anche la copertura pomeridiana di una tuttofare che ci aiuta a pulire la casa e dà un occhio anche a loro», racconta. I ragazzi, intanto, cercano di studiare, ma anche per loro il livello di implementazione della scuola a distanza è molto diverso a seconda dell’istituto: «Nel liceo di Rocco c’è una piattaforma che funziona bene, i prof caricano i compiti e il programma e ora hanno trovato un modo per fare lezione online che attiveranno a brevissimo». Tito, che fa la terza media, invece, «ciondola tutto il giorno, di lezioni online non se ne parla. Hanno una piattaforma chiamata Edmodo, che però non consente di avere una spiegazione del docente». Maria, infine, è fortunata: «ha appena iniziato la prima elementare, e nel suo caso le odiosissime chat di classe per una volta si stanno rivelando utili: la maestra ci manda video dove si registra mentre parla ai bambini, detta delle poesie e racconta delle storie. In questi giorni si sono concentrati sulla scrittura di una piccola poesia di Aldo Palazzeschi. E lo stesso fa la maestra di matematica, che però essendo più anziana e meno “digital” ha semplicemente fotografato dei fogli con alcune addizioni e sottrazioni».
Per Serena, al tempo del coronavirus, il vantaggio di non dover timbrare nessun cartellino si scontra con la mole ridotta di lavoro: «i miei ritmi sono rallentati del 60%. Se non ci fosse mio marito, che è dirigente di una grossa società, economicamente non potrei mai farcela in una situazione del genere». Lui è stato in smart working per tre giorni la scorsa settimana e poi è rientrato in ufficio a tempo pieno, con turni che spesso e volentieri toccano le 12 ore. E malgrado il supporto del marito scarseggi, Serena ribadisce di essere «tra le più agevolate». «Altre famiglie se la passano molto peggio, tante mamme devono navigare a vista per trovare la soluzione migliore giorno per giorno». Perché sono ancora una volta loro, le donne, ad addossarsi, anche al tempo del coronavirus, la gestione familiare. Secondo Serena, il momento è poi particolarmente duro per i genitori single. «Per mia sorella, ad esempio, che fa l’avvocato e cresce una bambina da sola, è un casino. Ha una babysitter che viene al pomeriggio, ma la mattina deve per forza andare mia mamma, che è in gamba ma ha pur sempre ottant’anni». Era stata la stessa ministra per la Famiglia, Elena Bonetti, a sollevare il problema dei nonni nei giorni scorsi: essendo gli anziani più a rischio se contraggono il virus, dovrebbero essere quelli meno coinvolti nella gestione dei bambini. «Andrebbero lasciati tranquilli, e invece vanno in soccorso alle famiglie anche più di prima. Ma mia sorella non potrebbe fare diversamente, pagare la tata per tutto il giorno sarebbe impossibile». A questo proposito, sulla proposta della ministra di introdurre permessi straordinari per i lavoratori dipendenti e voucher per le babysitter, commenta: «bisognerebbe vedere quale sarebbe l’implementazione concreta delle misure, ma in generale potrebbero aiutare».
I problemi legati all’epidemia sono condivisi e ricorrenti. E anche Elena, che è avvocato e ha un figlio piccolo, ci si sta scontrando quotidianamente. «Lorenzo ha iniziato il nido il 13 gennaio, ci è andato per meno di un mese. Praticamente quando rientreremo bisognerà fargli fare un nuovo inserimento», racconta disperata. Anche suo marito è nel campo legale, ma lavorando in una struttura più grande ha le mani legate anche più di lei. «Ci stiamo dando dei turni, ma la tata ci sta dando una reperibilità giorno per giorno perché a sua volta ha una bambina a casa. Prima ne avevamo due, una al mattino e una al pomeriggio, ma adesso è molto più complicato. Io poi sento e ricevo clienti, scrivo atti, lo smart working per me non funziona se non c’è qualcuno nell’altra stanza che mi tiene il bambino». Per loro, la situazione è resa doppiamente difficile dal fatto che anche i nonni sono lontani. «Adesso sto aspettando di capire se mia mamma può salire a Milano dalla Toscana, ma a sua volta lei sta curando mia nonna, e se non troviamo la badante da lasciarle non potrà venire». Avendo un bambino di 2 anni e mezzo, poi, oltre alla scarsa reperibilità delle babysitter si somma anche il problema di doverlo lasciare ad una sconosciuta. Per non parlare dell’aspetto economico: «l’asilo è privato, ora vorrei capire se salterà la retta di questo mese ma non credo, le maestre dovranno essere pagate. Per cui stiamo contemporaneamente pagando la scuola e gli straordinari alla tata». E nemmeno si potrebbe considerare l’ipotesi di portare il piccolo insieme ad altri bambini a casa di qualcuno. «Tenerli insieme comporta il rischio del contagio, per cui le mamme evitano», conclude Elena.
La vita al tempo del coronavirus per le famiglie milanesi, insomma, non è facile, quale che sia il quadro familiare. E se le scuole dovessero continuare a rimanere chiuse fino ad aprile, possibilità che il governo sta attualmente considerando, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente. A misure straordinarie in ambito sanitario dovrebbero corrisponderne di altrettanto importanti in termini di welfare. 7,5 miliardi è la cifra che il governo ha previsto di stanziare in aiuto di aziende e famiglie. Le autorità e gli scienziati sono concordi che i milanesi (e non solo loro) si stiano comportando in maniera esemplare nell’osservazione di tutte le norme sanitarie: non resta che sperare che i loro sacrifici siano ripagati.