Lo ha fatto ancora, ha fatto quello che sa fare meglio. Benjamin Netanyahu ha battuto i suoi avversari, secondo gli exit poll della notte scorsa in Israele: da tre a cinque seggi di distacco dal suo principale rivale, l’ex generale Benny Gantz, leader del movimento Blu e Bianco. Il premier israeliano avrebbe conquistato 59 seggi su 120 alla Knesset, il Parlamento. Per governare, però, ne servono 61. E i numeri potrebbero ancora cambiare, considerando che all’alba con il 17,7 per cento dei voti contati, Netanyahu aveva raggiunto 37 seggi e Gantz era sceso a 30.
Israele ha votato ieri per la terza volta in meno di un anno. È stata l’elezione con la maggior affluenza dal 1999, anno in cui Netanyahu, già allora primo ministro, è stato battuto dal laburista Ehud Barak. Per poi tornare, nel 2009, e governare per undici anni consecutivi.
È l’uomo dei ritorni, il professionista delle politica e delle sfide elettorali, che conosce in profondità la sua base e un paese polarizzato attorno alla sua persona, soprattutto oggi, a sole due settimane dall’apertura del suo processo: è incriminato per frode, corruzione, abuso di potere.
Sui pali della luce lungo le autostrade, il Likud, il partito del premier, ha appeso nelle settimane prima del voto gigantografie di Netanyahu. Blu e Bianco, invece, non ha risposto con la fotografia di Gantz, bensì con una brutta immagine di Bibi accanto alla scritta: «Se vince lui, avrete Erdogan». «Questo la dice lunga sulla campagna elettorale — racconta Lilac Sigan, editorialista del quotidiano Maariv — Netanyahu ha fatto campagna chiedendo di votare per lui. Tutti gli altri hanno fatto campagna chiedendo di non votare per Bibi. Non è sufficiente», dice. Così, gli exit poll hanno dato la vittoria a Netanyahu, anche se quel 59 è un numero troppo fragile per governare e non mette al riparo da un terzo possibile stallo politico. Il premier ha combattuto già una volta contro una cifra simile, ad aprile, quando gli mancava un solo seggio per poter finalizzare il successo alle urne, ma la testardaggine dei suoi rivali politici o degli alleati di un tempo ha vanificato settimane di negoziati e riportato il paese al voto.
Da anni ormai in Israele governa chi detiene l’arte di formare una coalizione. È tutto già visto: Netanyahu inizierà in queste ore un corteggiamento nei confronti di diversi deputati, del partito rivale Blu e Bianco o della sinistra laburista, che nonostante la fusione con due altri movimenti avrebbe conquistato soltanto sei seggi. Potrebbe tentare di convincere Benny Gantz a un’unione che preveda una rotazione della premiership, o valutare la variabile Avigdor Lieberman, imprevedibile e inaffidabile ex alleato, l’uomo che ha costretto Israele a votare tre volte in meno di un anno per aver rifiutato di sostenere sia Netanyahu sia Gantz.
Con il successo di Bibi alle urne si apre anche uno scenario giudiziario inedito per il paese. Il primo ministro ha battuto i suoi avversari e trascinato con sé metà dell’elettorato nonostante sia incriminato. E nonostante fra due settimane si apra il processo che lo vede imputato. Si tratta di una prima assoluta in Israele. Se entro quella data Netanyahu ottenesse una maggioranza, ha scritto su Twitter Anshel Pfeffer del quotidiano Haaretz, «tutto è possibile», come la nomina di un nuovo procuratore generale che riesamini il caso o una legge sull’immunità.