Non sono solo gli italiani a subire restrizioni nell’accesso alle frontiere in altri Paesi. Ora arriva anche l’allarme sullo stop ai prodotti agroalimentari del made in Italy ai confini italiani, a partire dal Brennero. «Stiamo registrando i primi blocchi alle frontiere delle merci provenienti dall’Italia, perché temono il contagio dai nostri autotrasportatori», racconta Federico Sannella, presidente della sezione Alimentare di Unindustria Lazio. «Il governo deve prendere questo tema in maniera seria e attivare subito un piano di sostegno e controllo della logistica a livello europeo. Serve un intervento per evitare le chiusure delle frontiere per il passaggio delle merci. Sarebbe un problema devastante avere i nostri prodotti fermi ai confini senza poter entrare negli Stati limitrofi».
Quali Paesi stanno mettendo limitazioni?
L’Austria. Si è avuta notizia di limitazioni dei tir al Brennero. Il ministero degli Esteri si è attivato aprendo un indirizzo email al quale è possibile segnalare casi di restrizione alla circolazione delle merci e di discriminazione verso le merci italiane.
C’è preoccupazione o pensate siano pratiche commerciali sleali?
Difficile dire in questi momenti di crisi da dove abbiano origine i fenomeni. C’è preoccupazione, ed è comprensibile che un fornitore preferisca non avere un autotrasportatore che viene dall’Italia se non è certo che non ci sia rischio di contagio. Capisco la preoccupazione, capisco che il mercato è mercato, ma proprio per questo è importante che intervengano le istituzioni per garantire che il movimento delle merci avvenga in sicurezza. Perché altrimenti il danno può essere molto forte.
Si registrano alcuni rifiuti da parte degli autotrasportatori stranieri a recuperare le merci in Italia per paura di esser posti in quarantena una volta rientrati.
La comunicazione è stata fatta in maniera tale che sembra che l’Italia sia un Paese in cui se uno entra si prende il coronavirus. Le regole stabilite dall’Italia e le regole prudenziali che ogni singola azienda ha posto sono sufficienti per garantire che non c’è pericolo a venire nel nostro Paese per recuperare le merci. Così come non si corre alcun pericolo a far entrare i nostri trasportatori negli altri Paesi, naturalmente soggetti a tutti i controlli che le autorità sanitarie riterranno di dover fare. L’importante è garantire il passaggio delle merci. E per farlo serve un coordinamento europeo.
Quanto sta soffrendo l’export dell’agroalimentare in questo momento?
Non è ancora facile misurare l’impatto perché questa crisi sta cambiando di giorno in giorno. Ma uno dei rischi più importanti che stiamo affrontando è la messa in discussione della qualità del made in Italy. Anche per la diffusione della fake news, secondo cui il virus sarebbe trasportabile tramite i prodotti. Vengono richieste certificazioni sanitarie “virus free” che non hanno né capo né coda. Sono misure che rischiano di bloccare il mercato interno a livello europeo, forse fatte anche da parte di alcune nazioni che potrebbero trarre vantaggio da una riduzione dell’export del made in Italy.
Si potrebbe arrivare addirittura a una certificazione di buona salute dei nostri prodotti?
Non lo escludo, non posso prevedere quello che potrà accadere. Noi siamo fortemente contrari. Una certificazione di questo tipo non ha fondamento scientifico, non ne capiamo la ragione. Si sta aspettando la dichiarazione ferma da parte dell’Oms che certifichi la non trasportabilità del virus negli alimenti. Lo sappiamo già, ma sarebbe un’ulteriore presa di posizione più politica.
Federalimentare ha detto che le nostre eccellenze sono sotto attacco. Ci sono prodotti più colpiti di altri?
Al di là delle boutade francesi sulla pizza, non c’è un settore più o meno targettizzato. È l’intero settore in pericolo, aspettiamo i dati di fine mese.
In Veneto si parla addirittura della richiesta di certificazioni sulle bottiglie di prosecco. Lei che è anche direttore delle relazioni esterne di birra Peroni, cosa risponde?
Ci sono prodotti che ancora meno fanno pensare alla possibile contaminazione: il prosecco è uno di questi, in quanto bevanda alcolica. O la birra: la birra non può contenere agenti patogeni, ha alcol e anidride carbonica, per cui dentro non può succedere nulla. Ma l’Italia è il Paese che ha il più alto numero di verifiche sulla sicurezza alimentare al mondo. Gli altri Paesi devono stare tranquilli su una cosa: la sicurezza dei prodotti del made in Italy.
Cosa serve ora, dunque, per evitare scenari disastrosi per i prodotti italiani?
È importante un forte coordinamento delle nostre istituzioni con le istituzioni europee. L’Europa deve giocare un ruolo importante per assicurare la libera circolazione delle merci. Solo lavorando insieme, si può evitare che vi siano discriminazioni dei prodotti o prese di posizione che non hanno né capo né coda. Bisogna risolvere il problema della logistica e del trasferimento delle merci, e iniziare a raccontare che i prodotti italiani sono sani. C’è una situazione di emergenza e i provvedimenti devono essere presi in maniera veloce. Altrimenti rischiamo di entrare in una fake news gigantesca, il cui impatto può essere devastante. Il rischio è che se questa crisi durerà ancora a lungo, ci alzeremo con le ossa rotte.