La sfortuna di avere incrociato per prima lo tsunami pandemico e di averlo fatto con un’eccessiva fiducia nella capacità di tenuta del sistema sanitario ha reso l’Italia il campione (negativo) dell’emergenza europea. Da ciò è conseguito anche il tentativo di farne il “modello” della risposta europea, come gli esponenti di governo e maggioranza continuano a sostenere con leggerezza e scarso senso del ridicolo, visto il collasso della macchina dell’emergenza nella regione più ricca e organizzata e l’esplosione – pandemia nella pandemia – dei contagi intra-sanitari, che rappresentano la cifra più caratteristica e ancora meno spiegata del fallimento italiano. Ma anche lasciando da parte questi aspetti di grandeur retorica e stracciona, rimane il fatto che la pandemia ha fatto con qualche settimana di anticipo nei conti pubblici italiani quei buchi che presto o tardi si faranno, con dimensioni e proporzioni diverse, nei bilanci di tutti gli stati membri impegnati nel lockdown, anche senza le ulteriori restrizioni per l’attività economica previste in Italia.
Sui tavoli europei nei quali si prova ad affrontare l’emergenza non è in discussione la necessità di un piano straordinario di contenimento del rischio economico, connesso alle strategie di contenimento del rischio epidemiologico. Si discute, come al solito succede nei tavoli europei, senza distinzione tra quelli comunitari e intergovernativi, del rapporto tra il “cosa” e il “come” e tra la “quantità” e la “qualità” delle eccezioni ammesse da una costruzione, che può sperare di affrontare l’emergenza sanitaria comune, perché è retta e sostenuta da un insieme di regole comuni e non da un sistema di immunità e indulgenze negoziate volta per volta.
A questi tavoli alcuni stati, a partire dalla Germania, sono arrivati sapendo di dovere affrontare anche una questione interna, cioè di evitare che un atteggiamento cedevole e generoso verso i Paesi (finanziariamente) più in difficoltà desse voce e fiato ai “loro” Salvini, a partire da Alternative für Deutschland. E la questione sovranista interna ha finito per saldarsi alla questione sovranista esterna, cioè alla pretesa, in primo luogo italiana, di negoziare condizioni che rendevano comuni i rischi, ma non le responsabilità sulla marea di quattrini europei (quelli della Banca centrale europea e più ancora quelli che arriveranno attraverso il Meccanismo eruopeo di stabilità, la Banca europea degli investimenti e per via analoga), destinati a rianimare l’economia del continente. Anche se il fenomeno pandemico è una crisi economica del tutto diversa da quelle precedenti, si inscrive in una sistema di relazioni che rimane da parecchio tempo stabilmente condizionato, anche se non ancora egemonizzato, dal paradigma nazionalista.
Che oggi il nazionalismo italiano, quello del Movimento Cinque Stelle (con Partito democratico al seguito) e della destra, assuma toni e retoriche di solidarietà europea, mentre quello tedesco, olandese, austriaco o finlandese conserva posture anti-europee e separatiste è, in realtà, del tutto irrilevante. Per tutti i nazionalisti l’Europa è un mezzo, un alibi o un pretesto per affermare e giustificare l’idea che l’Europa, non potendo essere una comunità politica, non ha i titoli per essere “sovrana”, meno che mai sull’attività più “sovrana”, che è quella di raccogliere e spendere risorse pubbliche. Per tutti i nazionalisti l’Ue è il limite artificiale opposto allo “spazio vitale” degli stati e alla naturale espansione della volontà o dell’interesse politico nazionale. L’Olanda non vuole bond europei, per la stessa ragione per cui l’Italia li reclama “senza condizioni”.
Nello scontro per i quattrini anti Covid-19 è inevitabile che i Paesi che hanno meno da guadagnare siano contro titoli comuni e viceversa e che dunque oggi Di Maio, Salvini e Meloni sembrino schierati dalla parte di Draghi e di Delors. Ma il nazionalismo europeista rimane un inganno e una pura maschera di scena come lo era, nel secondo dopoguerra, il “pacifismo” dei partiti comunisti di obbedienza sovietica. Ha ragione Delors a sostenere che la mancanza di solidarietà europea rappresenta un rischio esiziale per le istituzioni dell’Ue, ma la solidarietà mancante oggi, come in tutte le crisi attraversate di recente dall’Unione, non è l’assenza di pietas o di generosità per gli stati in maggiore difficoltà, bensì l’assenza di una lettura condivisa sulla natura e la funzione delle istituzioni comuni. La solidarietà non è la regola di relazione tra stati sovrani, ma il principio di coesione di una comunità politica.
Se L’Europa non è “comune”, non può essere solidale. E dunque non può essere solidale, se rimane non solo istituzionalmente, ma anche nella percezione degli attori politici, un meccanismo di negoziazione di interessi nazionali, in quanto espressione “collettiva” più precisa e concreta degli interessi dei singoli cittadini degli stati membri. Il salto di scala che oggi si chiede all’Europa è tutt’altro che compiuto nella coscienza di chi, in Italia, continua a descrivere quello europeo come un gioco a somma zero, dove qualcuno vince e qualcuno perde e dove le sconfitte – anche quelle dolorosissime subite negli ultimi vent’anni sul fronte economico – sono effetto delle vittorie altrui o, peggio ancora, colpe di alleati felloni.
Infatti, se nelle costruzioni coese la solidarietà può diventare una rendita parassitaria, negli accordi tra stati la solidarietà sarà sempre, agli occhi di chi è o si crede forte, un’usurpazione di sovranità o un’appropriazione indebita di benefici da parte di chi non li merita. Dunque, in una logica europea puramente “inter-statale” (oltre che in un assetto di governo intergovernativo) è così irrazionale che gli stati più forti non vogliano regalare nulla a un Paese alle corde, in cui le forze nazionaliste (tutta la destra e il M5S) continuano a raccogliere il favore di due italiani su tre?
In questo passaggio la costruzione europea rischia un’implosione per delegittimazione agli occhi dei cittadini italiani, ma è ancora più vero che se a reclamare la solidarietà europea sono antichi e recenti banditori dell’Italexit e di una riconquistata sovranità monetaria sarà complicato al prossimo Eurogruppo trovare una quadra soddisfacente sugli strumenti, mancando in premessa un accordo sui fini che quegli strumenti dovrebbero servire. C’è da sperare che la Germania alla fine confezioni un accordo “tecnico” onorevole per tutti e disonorevole per nessuno che dia ossigeno ai Paesi in maggiore affanno tra cui l’Italia. Ma se questo avverrà non sarà un passaggio epocale, né un passo decisivo verso la guarigione dal virus nazionalista, di cui l’Italia, anche quella formalmente giallorossa, rimane in Europa il più contagioso vettore.