Al di là delle chiacchiere sul governissimo di qualche giorno fa, un autentico clima da unità nazionale non ha mai preso piede ma adesso cresce l’impressione di una quasi rottura fra governo e opposizione, complice anche il disastro comunicativo sulla chiusura delle scuole e più in generale un bollettino di guerra sempre più allarmante che abbatte la soglia psicologica dei 100 morti.
La novità di queste ore è che non solo Matteo Salvini ma anche Giorgia Meloni, la meno insensibile ai richiami all’unità del Parlamento di fronte all’emergenza-coronavirus, dà crescenti segni di insofferenza verso il governo e il presidente del Consiglio. Non è certo per un caso se la leader di Fratelli d’Italia, rispondendo a una domanda, ieri abbia scandito una frase che mai si sarebbe sognata di pronunciare anche solo una settimana fa: «Se c’è la crisi si può votare a maggio». Detta così parrebbe un’affermazione neutra. Ma già solo evocare, o prendere in considerazione, l’ipotesi di una caduta di Conte con automatico – secondo lei – ricorso alle urne non suona certo di buon auspicio.
D’altra parte, la stessa Meloni va lamentando uno scarso coinvolgimento delle opposizioni da parte di palazzo Chigi ed è anche vero che l’ultima riunione dei capigruppo di tutti i partiti, martedì sera, non è stata granché, l’impressione della destra è che Conte e i suoi ministri abbiano fatto al più un gesto di cortesia istituzionale più che una seria operazione politica. Le due opposizioni di destra si sentono estranee – e magari in cuor loro non sono affatto scontente di non stare nella stanza dei bottoni in un frangente così drammatico – e hanno anche difficoltà a interpretare il loro popolo. Mentre Forza Italia ondeggia ma come al solito non pare avere gran ruolo.
Matteo Salvini si è accorto che la sua strana proposta del governissimo non avrebbe convinto nemmeno i suoi fedeli e sarebbe dunque già partito a passo di carica in modalità campagna elettorale, che è quella che meglio gli si attaglia: ma sul cavalcare le sofferenza della gente ha dubbi anche lui, potrebbe essere controproducente. Tuttavia l’annunciato no al decreto da 3,6 milioni è indicativo della volontà di stare dall’altra parte, e in Parlamento i leghisti strepitano su qualunque cosa, persino – ieri – sullo spacchettamento del ministero della scuola e della ricerca. Mentre la Meloni da subito aveva capito che era il caso di darsi quel profilo politico responsabile che è tipico della tradizione istituzionale degli ultimi anni della destra italiana. Di qui la differenza fra i due leader dell’opposizione. Fino alle ultime ore: ora il clima è più teso. Altro che unità nazionale: e per Conte non è una buona notizia.
Se n’è accorto Di Maio: «Ascoltiamoci, adesso non c’entrano nulla i colori politici». Quello che è certo è che se la destra armasse un putiferio sulle inadeguatezze del governo, a rischio di fare la parte degli avvoltoi, e soprattutto se l’emergenza dovesse proseguire e con esso il disagio della società italiana, allora si potrebbe davvero aprire una fase politica drammatica. Mentre Salvini continuerà a scalpitare, alla Meloni soprattutto tocca l’ultima e decisiva parola sulla linea da tenere.