Uniti nelle diversitàSfogo di un europeista sui Paesi Ue disuniti nell’affrontare l’epidemia

L’emergenza sanitaria globale, a cui ci sta costringendo un virus che viene da qualche remota foresta cinese, rischia di logorare, fino a spezzare, i legami culturali, storici, economici e politici che sono racchiusi nel sogno europeo

GUIDO KIRCHNER / DPA / AFP

Ho dedicato la gran parte dei miei studi, della mia attività professionale, dei miei ideali, della mia stessa vita, coltivando il sogno che ci vedeva progressivamente uniti all’interno di una comunità europea. Ho cominciato sin da subito a cogliere i primi frutti di questo sogno quando, all’indomani dell’esame di maturità, era il 1993, decidendo di non rimanere a casa, staccai un biglietto di sola andata per Londra. Assaporai sin da subito il gusto della libertà di spostarmi senza confini, di studiare senza necessari nullaòsta, di lavorare nel rispetto di regole armonizzate, di divertirmi sentendomi culturalmente affine a ragazze e ragazzi che venivano da tutte le parti del continente. Quel sogno, che ho sempre strenuamente difeso, è andato avanti, nonostante le contraddizioni, le resistenze e le retromarce, che la storia talvolta presenta, per oltre un quarto di secolo.

Oggi, però, sono in crisi. Realizzo, con sempre maggiore lucidità, che quel sogno rischia di svanire. E tutto questo per causa di chi, alla guida di istituzioni europee, rimane immobile o addirittura fa tutto il contrario di quello che sarebbe tenuto a fare per rinnovare quel sogno collettivo che abbiamo ereditato dai nostri padri e dai nostri nonni, e che è stato a loro affidato. Un’eredità che ci ha tenuto uniti, in pace ed in prosperità per 70 anni.

Ho il timore che le distanze di sicurezza e le misure di sanificazione necessarie per superare l’emergenza sanitaria globale, a cui ci sta costringendo un virus che viene da qualche remota foresta cinese, in mancanza della necessaria solidarietà – che poi è il collante di qualsiasi comunità di esseri umani – possano contribuire – fuor di metafora – a logorare, fino al punto di spezzare, i legami culturali, storici, economici e politici che sono racchiusi nel sogno europeo di Spinelli, Schuman, Monnet, Bech, Spaak, Adenauer e De Gasperi.

Non voglio, né credo sia utile, mettere fine a questo sogno. Ma non voglio nemmeno che questo si trasformi in incubo, a causa di banchieri senza scrupoli e mercatisti senza mercato.

Vorrei, tuttavia, che si recuperasse lo spirito dei padri fondatori, ovvero un impegno concreto che ci porti veramente a realizzare un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa all’interno di una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. Una società siffatta, come d’altro canto si dice in famiglia, mette al primo posto la salute e, con questa, il lavoro, la casa ed i diritti.

Un’Europa realmente unita, non dovrebbe voltarsi dall’altra parte, ma avrebbe oggi il dovere di stringersi, con misure concrete, attorno all’Italia che soffre. Invece, purtroppo, si percepisce indifferenza e lontananza. E questo non va bene.

Si dice che quando tutta questa emergenza finirà nulla sarà più come prima. Ci sarà un prima e un dopo coronavirus. Io spero in un “dopo” in cui valori come salute, lavoro, solidarietà, uguaglianza e diritti abbiano la precedenza sulla logica del profitto costi quel che costi. Io spero in una comunità di valori, che unisca invece che dividere. Il mio Paese, l’Italia, è già sulla buona strada e sarà d’esempio per il resto d’Europa. Di questo vado molto fiero. Il prima lo abbiamo conosciuto. Il dopo lo vedremo, speriamo molto presto.