Medicina emergenzialeCi sono novemila medici abilitati, ma il governo non finanzia le borse di specializzazione

Dopo le promesse fatte alle associazioni di categoria, nel decreto Cura Italia non è stato inserito uno stanziamento per 5000 nuove borse di specialità. Il 76% di questi dottori ha meno di 35 anni

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Tra gli “insoddisfatti” del decreto “Cura Italia”, una «manovra poderosa», per usare le parole del premier Giuseppe Conte, da 25 miliardi di euro, varata lunedì dal Consiglio dei ministri, ci sono in queste ore diverse associazioni che riuniscono giovani medici e studenti di medicina italiani. Nel mirino di queste realtà, che da giorni monitorano le bozze del testo diffuse dai media, c’è in particolare il mancato stanziamento per finanziare 5000 nuove borse di specialità, che avrebbero aiutato a colmare il drammatico “imbuto formativo” che ogni anno paralizza migliaia di giovani professionisti esclusi dalla formazione specialistica.

Non si tratta di un problema di poco conto: secondo una recente analisi dell’Associazione Liberi Specializzandi, sono poco più di 9000 i giovani medici laureati e abilitati – il 76% di loro ha meno di 35 anni – risultati nel 2019 “non vincitori” e non assegnatari di borse di specializzazione, né iscritti a una scuola di formazione di medicina generale, e che allo stesso tempo non siano in formazione e non dispongano di un titolo post-laurea riconosciuto dalla Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo). Una questione che il nostro Paese si trascina da anni, e che, secondo quanto circolato su alcuni media autorevoli nei giorni scorsi, il Governo sembrava prepararsi ad affrontare proprio ora, in tempi di emergenza. Si era parlato, in particolare, di una spesa di 125 milioni di euro (pari a 5000 borse in più) per gli anni 2020 e 2021, e di 130 milioni (pari a 5200 borse in più) per il 2022, 2023 e 2024. Secondo quanto riferisce in un posto su Facebook il Segretariato Italiano Giovani Medici, tra le realtà più attive nel chiedere una risposta dalle istituzioni, «A seguito dei nostri contatti e continui solleciti, abbiamo avuto rassicurazioni circa la presa in carico da parte del governo e la realizzazione dello stanziamento», che però alla fine non c’è stato.

«Il grosso problema del nostro Paese non è tanto la carenza di medici, quanto la carenza di medici specialisti», spiega Isabella Ceravolo, tra i giovani professionisti in queste ore impegnati a sensibilizzare sulla questione. «In media, le borse finanziate ogni anno sono meno della metà rispetto al numero di medici che concorre per ottenerle». È questo il motivo per cui sempre più giovani professionisti emigrano e lanciano la propria carriera all’estero. L’alternativa è quella di trascorrere un anno di “transizione”, tra lavoretti e sostituzioni, per poi riprovare eventualmente l’anno successivo, quando però il problema dell’imbuto formativo si ripresenterà identico. «È una questione che nessuno ha mai tentato di risolvere davvero: per far fronte alla carenza di personale, si è sempre optato per soluzioni ‘tampone’, come richiamare medici in pensione, o immettere nel mondo lavorativo medici specializzandi». E a suo avviso, in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, la scarsa lungimiranza di tali scelte politiche risulta impietosamente evidente.

Al test dello scorso luglio, a fronte di 8000 borse disponibili, hanno partecipato circa 20mila candidati. Secondo la Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri, che lo scorso maggio ha lanciato una campagna sul tema intitolata “Offre l’Italia”, ogni anno circa 1500 laureati in medicina, che costano al nostro Paese 225 milioni di euro, vanno a specializzarsi all’estero. E nei prossimi 15 anni, si stima che mancheranno all’appello almeno 14mila medici specializzati, a fronte dell’ondata di pensionamenti attesa per il 2025.

Certo: 5000 borse in più non avrebbero costituito una misura d’emergenza per affrontare la sfida posta dal coronavirus; non avrebbero cioè prodotto risultati immediati, in un momento in cui il Governo sta cercando di concentrare le risorse disponibili per dare risposte concrete e a breve termine. In questa direzione, vanno invece altri provvedimenti contenuti nel “Cura Italia”, come l’abilitazione d’ufficio e la laurea definitivamente abilitante alla professione medica, che, secondo il ministro dell’Università Gaetano Manfredi, metterà a disposizione circa diecimila medici per fronteggiare l’emergenza.

Si tratta, peraltro, di misure per le quali le stesse associazioni che denunciano il mancato stanziamento per le borse hanno lottato a lungo, e che oggi salutano con favore. «Ci siamo battuti insieme a molti abilitandi affinché questa decisione venisse presa il prima possibile monitorando l’evolversi della situazione e adattando prontamente continue proposte al Ministero», scrive su Facebook il segretariato Italiano Giovani Medici. L’Associazione Liberi Specializzandi, invece, sui suoi canali ricorda di aver lanciato una campagna allo scopo di chiedere la laurea abilitante già il 12 giugno 2018, in tempi assolutamente non sospetti.

Il nodo delle borse, però, resta: «La nostra preoccupazione», racconta Isabella, «è che, finita questa emergenza, che pure ha evidenziato le storture del sistema, si continuerà a far finta di nulla». Le associazioni, dunque, promettono battaglia, mentre Giovani Medici per l’Italia diffonde un’aspra lettera aperta indirizzata al premier Giuseppe Conte: «Molti di noi hanno recentemente accolto il Suo appello alla responsabilità, che sia educando le persone attorno a loro» o «investendo tempo ed energie per fare ciò che un volontario sottoqualificato (perché questo siamo, se non ci viene permesso di specializzarci) può fare in una situazione come questa», scrivono. «Crediamo che sia venuto il momento che anche Lei ed i suoi Ministri vi comportiate da responsabili mettendo in atto le politiche necessarie affinché il nostro SSN, che ci rende ancora orgogliosi per abnegazione piuttosto che per lungimiranza gestionale, non si trovi mai più in questa tragica situazione». E avvertono: «Nei prossimi anni un’emergenza come quella che si sta consumando in questi giorni non sarebbe gestibile, e ciò corrisponderebbe inevitabilmente a una condanna a morte».

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