Il deficit pubblico italiano del 2019 è il più basso degli ultimi dodici anni ma non c’è nulla da festeggiare. Il dato pubblicato lunedì dall’Istat non si vedeva dal 2007, quando al ministero dell’Economia c’era il rigoroso Tommaso Padoa-Schioppa, passato alla storia solo per la frase «dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima». L’1,6% di deficit è una sorpresa per due motivi. Primo, perché il governo di allora, il Conte 1, aveva previsto un dato di gran lunga peggiore: 2,2%. Secondo, perché al governo c’era proprio il Conte 1.
Come possono aver realizzato un deficit così basso Lega e M5S, autori di quota 100 e reddito di cittadinanza, i due provvedimenti da circa 10 miliardi l’uno che hanno sconquassato i conti pubblici beneficiando circa 2,5 milioni di italiani su 60 milioni? Semplice, non è merito loro. «Devono fare un monumento al presidente della Banca centrale europea Mario Draghi che ha ridotto la spesa per interessi sul debito e ai contribuenti italiani che hanno pagato molte più tasse. Le entrate fiscali sono aumentate tantissimo, in particolare le imposte indirette: il triplo della crescita nominale del Pil», spiega Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia aziendale alla Bocconi. «Il problema è che gran parte di queste nuove tasse sono delle entrate una tantum, non legate a un andamento positivo dell’economia. Per capirci: condoni, rottamazioni o saldi e stralci».
Quindi il deficit al -1,6% è stato frenato soprattutto dalla pressione fiscale, aumentata di mezzo punto percentuale al 42,4% grazie agli aumenti di imposte dirette come Irpef e Ires. Tradotto: venti miliardi di euro in più che si sommano ai 758,6 che ogni anno versano cittadini e imprese allo Stato. Il record dell’1,6% sembra più un miracolo contabile dovuto a diversi fattori: la fatturazione elettronica, (voluta dal governo Renzi e approvata dal governo Gentiloni nel 2017, ma entrata in vigore solo dal 1 gennaio 2019) che ha portato all’aumento delle imposte, soprattutto indirette che prima finivano nel “nero”. Mentre l’azione della Bce ha diminuito drasticamente la spesa per interessi passivi: -6,7%, contro la riduzione del 1,3% nel 2018.
E le due misure bandiera di Lega e Movimento Cinque Stelle? Hanno avuto il merito di non essere totalmente applicate. Da una parte meno persone del previsto hanno sfruttato la finestra per andare in pensione o per chiedere il sussidio di cittadinanza. Dall’altra è stato merito dell’allora ministro dell’Economia Giovanni Tria che ha messo dei paletti per calmierare l’erogazione di quota 100 e Rdc. «Ha intelligentemente tenuto da parte un po’ di riserva che ora è emersa. I populisti hanno speso meno di quello che volevano spendere ma nonostante questo la spesa delle prestazioni sociali è triplicata (3,7%) rispetto al tasso di crescita del Pil nominale del Paese: (1,2%). Nel 2018 era 2,1%», spiega Maffé.
Non solo. Anche il piccolo aumento del Pil nel 2019: +0,3% è il peggior dato degli ultimi sei anni e molto più basso del 2018 in cui il Pil era arrivato a + 0,8%. Sì, è cresciuto di uno 0.1% in più rispetto alle previsioni del governo, ma anche quattro volte in meno del +1,5% che secondo Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte l’Italia avrebbe raggiunto nel «bellissimo» 2019 grazie ai loro provvedimenti. E a ben guardare il merito della piccola crescita è dell’export italiano (la domanda estera è aumentata dello 0,5%), mentre il +0.4% della domanda interna è una crescita anemica visto l’impatto che avrebbero dovuto avere reddito e quota 100, due misure di welfare decise nel 2018 e pienamente attuate l’anno scorso.
Il problema è che il deficit all’1,6% non porta con sé il beneficio più importante: il trend positivo. «Il dato non è replicabile quest’anno perché la maggior parte delle entrate è una tantum, mentre le spese sono destinate a crescere», spiega Maffé. A questo si aggiunge l’emergenza coronavirus che costringerà il governo Conte 2 a chiedere al Parlamento di aumentare il deficit per il 2020 al 2,4%. E così il Pil dell’Italia di quest’anno sarà a crescita zero. Lo ha detto lunedì l’Ocse (l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) anticipando il risultato dell’Interim Economic Outlook.
2020 a parte, per esultare davvero servirebbero entrate strutturali per far diminuire il problema più importante dell’economia italiana: il debito pubblico arrivato a oltre 2400 miliardi di euro nel 2019. Il rapporto debito pubblico/Pil è rimasto invariato: +134,8%. Ma non è una buona notizia. Nel 2007 era al 103.9 per cento.