Ci fa piacere che il presidente Zaia elogi il «senso civico» del popolo veneto (quanto a quello del popolo italiano, non si esprime) nell’emergenza coronavirus, ma non riusciamo a dimenticare che si tratta dello stesso Luca Zaia, allora vicepresidente della Regione, che tredici anni fa, nel luglio 2007, era stato beccato da una pattuglia della Polstrada a sfrecciare sulla A27 nei pressi di Conegliano a 193 chilometri l’ora al volante della sua Audi, con conseguente multa da 407 euro e notifica di ritiro della patente, e che si era difeso in questo modo: «Bisogna assolutamente rivedere i limiti di velocità. Cinquanta chilometri l’ora nei centri abitati e centotrenta in autostrada sono soglie anacronistiche che vanno elevate almeno di venti chilometri».
Sacrosanta ribellione a una legge ingiusta, insomma: la resistenza al tiranno di Locke, la disobbedienza civile di Thoreau. E centinaia di civilissimi veneti, solidali con lui contro gli «agguati dell’autovelox», si erano offerti di fargli da autista. Forse memore di quella lezione, un cittadino di Vo’ Euganeo ha ritenuto suo diritto civico evadere dalla zona rossa per andare a sciare in Trentino, e chissà quanti altri lo hanno imitato, senza farsi cogliere in flagrante come lui per un femore rotto. Dopotutto, anche la quarantena obbligatoria può essere vista come una legge ingiusta.
Non meno degno di nota è il fatto che Matteo Salvini chieda il pugno di ferro nella lotta all’epidemia, fino alla chiusura totale di ogni attività produttiva (del resto le chiusure, soprattutto dei porti e dei confini, sono da sempre la sua passione). Ma ci pare di ricordare che un ministro dell’Interno con lo stesso nome (forse un caso di omonimia?), ancora nel luglio scorso firmasse un protocollo con i gestori di discoteche e di locali notturni per abolire una chiusura sgradita ai giovani: «Il divieto di somministrazione di bevande alcoliche dopo le 3 non ha più senso – diceva il Capitano del Papeete. – Preferisco che, a mio figlio, un cocktail glielo dia in mano un barman professionista, piuttosto che il primo extracomunitario di turno col carrello dei superalcolici, fuori dai locali». Libertà di sbronza, e libertà di schianto sulla strada del ritorno. Commovente, per restare all’opposizione, anche l’impegno di Antonio Tajani nel pretendere misure più severe: ma ci sovvengono le esternazioni del suo capo (ora esule a Nizza come Pertini) a proposito dell’evasione fiscale «moralmente giustificata» in presenza di tasse troppo elevate. Sempre in nome del «senso civico».
Passando alle file del governo, è bello che Luigi Di Maio ci inviti a cambiare le nostre abitudini, perché in questo frangente: «L’Italia deve riscoprire il valore della parola responsabilità». Ma è lo stesso Di Maio che ai tempi della «manovra del popolo» prometteva condoni alle villette abusive di Ischia tirate su in barba al senso di responsabilità e a ogni norma antisismica? E che solo un anno fa volava in Francia a ossequiare i casseurs col gilet giallo, non propriamente campioni di virtù civiche (sabato scorso sono tornati a riempire Montparnasse con una marea di droplet letali)?
E facciamo fatica a credere che il bravo Giuseppe Conte al quale adesso non si può fare a meno di stringersi in un abbraccio solidale e patriottico, abbia qualche grado di parentela con il Conte premier che appena insediato incontrava i «truffati» dalle banche (inclusi quelli finti che avevano speculato sui titoli ad alto rendimento) e che poi ha firmato la cosiddetta «pace fiscale» per le vittime vere o presunte di Equitalia. No, non può essere lui. Così come l’ottimo ministro della sanità, al quale va tutto il nostro sostegno, non collima con il Roberto Speranza esponente di quella sinistra dei sindacati e dell’art.18 che troppo spesso ha confuso i diritti con i privilegi corporativi e si è mostrata a volte perfino comprensiva verso i delinquenti (altro che furbi!) del cartellino nell’impiego pubblico.
Il senso civico di cui noi italiani stiamo dando prova in questi giorni – non tutti, e più per necessità che per convinzione – è stato quanto meno poco incoraggiato dalle forze politiche, di destra e di sinistra, negli ultimi decenni. Alcuni si sono anzi adoperati attivamente per estirparne ogni traccia dalle coscienze, legittimando le peggio furbate e porcate dei cittadini comuni in nome della lotta alla casta, ai politici ladri, alla corruzione dilagante, alle angherie dei banchieri e delle multinazionali, alle menzogne di professoroni e giornaloni.
Con queste premesse e questi modelli, è un miracolo che davanti al morbo gli italiani si comportino mediamente quasi meglio dei francesi e degli inglesi. È un miracolo che faccia notizia quel tipo che ha sputato in faccia a medici e infermieri in un ospedale di Napoli e che sia una minoranza, per quanto numerosa, a dare l’assalto ai treni per Lecce o Palermo alla Stazione centrale, a saccheggiare i supermarket o a pigiarsi nei mercati rionali. È un miracolo che non tutti i farmacisti romani speculino su mascherine e disinfettanti, e che il grosso dei lombardi non abbia seguito l’esempio di quegli undicimila scappati nelle seconde case in Sardegna, a rischio di ingolfare una sanità regionale con pochi reparti di intensiva, nonché di restare intrappolati dal blocco di voli e traghetti.
Il senso civico non si improvvisa, e non può nascere solo perché ti trovi di colpo con un fucile o un virus puntato alla gola. Senso civico vero, per esempio, è quello dei cinesi di Milano che hanno abbassato le serrande e si sono autoimposti la quarantena ben prima dei decreti di Conte, o quello di Medici senza Frontiere e degli altri volontari che si sono messi al servizio delle strutture sanitarie sotto assedio. Vedi alla voce “civismo” del Dizionario Treccani: «Nobiltà di sentimenti civili, alto senso dei proprî doveri di cittadino e di concittadino, che spinge a trascurare o sacrificare il benessere proprio per l’utilità comune». Quindi non basta l’ottemperanza alle leggi eccezionali, ci vuole qualcosa di più, che dalle nostre parti non pare aver mai attecchito (l’unico partito con l’aggettivo “civico” stampato nel simbolo non ha incontrato, diciamo, un successo di massa). Se il coronavirus ha il potere di farci sbocciare questo sentimento, la tragedia che stiamo vivendo sarà almeno servita a qualcosa. Ma attenzione perché tra civismo e cinismo c’è solo un cambio di consonante.