Stare a casa il più possibile per aiutare a fronteggiare e contenere l’emergenza coronavirus non per tutti è possibile. Ci sono migliaia di persone, precisamente 50mila secondo l’ultimo report Istat, che una casa non ce l’hanno. A Milano il terzo censimento di racCONTAMI2018 registra 2.608 senzatetto, mentre a Roma le varie strutture d’accoglienza hanno una capacità di 3.000 posti a fronte delle 8.000 persone bisognose notificate dall’Istituto nazionale di statistica.
A queste se ne aggiungono altre 20mila che hanno richiesto aiuto per problemi abitativi, tra migranti e non; altre 12mila persone che vivono in stabili occupati, chi vive nei campi rom autorizzati, 4500/5000 persone, e circa 300 persone che sfuggono al sistema. «La nostra associazione, fatta prevalentemente da volontari, ha sospeso tutte le operazioni di assistenza, soprattutto quelle di strada», spiega a Linkiesta Luca Sechi, presidente della MIA Milano Onlus. «In questo momento, anche per la sicurezza dei nostri operatori, non è più possibile mantenere le attività ordinarie. Il comune di Milano sta cercando di garantire i servizi essenziali, come mensa e dormitori, con tutte le precauzione del caso. Purtroppo queste persone sono sempre più sole, e noi obiettivamente sempre più impotenti».
Le stime delle associazioni di categoria parlano inoltre di una realtà parallela, sopratutto per il territorio romano. Secondo Binario 95, cooperativa sociale molto attiva su Roma, le persone senza dimora nella Capitale sono in realtà 20mila. E anche per loro è nato in questi giorni l’hashtag #vorreistareacasa, una campagna parallela a #iorestoacasa per richiamare l’attenzione sulle difficoltà che i senzatetto e i servizi di accoglienza sono chiamati a fronteggiare durante l’epidemia.
I senzatetto a Napoli, per esempio, sono circa duemila: il Comune ha sanificato i dormitori pubblici e fornito mascherine al personale, ma non mancano le criticità: in molti rifiutano l’accoglienza, i centri sono spesso chiusi e hanno poco personale. La Caritas di Catania ha sospeso in toto le attività, mentre quella di Pescara ha deciso di chiudere il dormitorio con più capienza della città.
«Da una parte c’è la gestione dei servizi veri e propri che cambia di città in città, ovvero come si comporta un centro di accoglienza di fronte a un’emergenza del genere, e dall’altra le azioni che deve tenere una persona senza dimora in questo frangente», chiosa Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95. «Questi soggetti senza i servizi basilari non sono in grado di sopravvivere. Chiudendo i centri di accoglienza ci troveremo 50mila persone in strada potenzialmente veicoli di contagio, è essenziale quindi fornirgli i dispositivi di protezione come gel e mascherine ma anche trovare dei luoghi separati dai centri di accoglienza, dai dormitori, dalle strutture diurne e dalle mense, in cui i senza tetto che presentano sintomi o sono positivi al tampone possano trascorrere la quarantena».
Al momento, continua Radicchi, non ci sono «casi positivi segnalati, a fronte dei due tamponi fatti nei centri dove noi operiamo, ma viene normale chiedersi se realmente in tutti i punti d’accoglienza non sia stato diagnosticato neanche un paziente contagiato». Il che, ricorda il presidente di Binario 95, solleva un’ulteriore pericolosità del fenomeno, ovvero «la natura del nostro lavoro, fatto di contatto e interazioni, di cui il coronavirus, per così dire, purtroppo si nutre».