Negli ultimi giorni si è diffusa nel paese una grande euforia da fine quarantena, giustificata dalla fatica di quasi due mesi di isolamento e dalla feroce volontà di riscatto economico, ma ieri sera ci ha pensato una surreale conferenza stampa di Giuseppe Conte (o era Corrado Guzzanti?) a riportare tutti con i piedi per terra: ancora non si riparte, tranne le pizze da asporto.
La modestia espositiva di Conte ormai è nota, ma a sua parziale discolpa c’è da dire che l’entusiasmo per la liberazione prossima ventura non era fondato sulla realtà dei fatti. Prendiamo Bill Gates, l’unico personaggio pubblico che in questi anni ha provato invano ad avvertire del rischio pandemico: nei giorni scorsi ha scritto e parlato a lungo con giornali e televisioni di qua e di là dell’Atlantico, ma di tutti i ragionamenti che ha fatto e di tutte le parole che ha detto in Italia è passata soltanto la notizia che finanzierà la ricerca sul vaccino, più una nota proto-sovranista per sottolineare che tra i recipienti ci sarà anche un progetto italiano. Evvai. Orgoglio tricolore. Bella Bill.
Eppure leggendo che cosa ha scritto Gates sull’Economist, sul Washington Post e sul suo sito, proprio nelle stesse ore, c’era poco da essere ottimisti: «Molti sperano che tra qualche settimana le cose torneranno a com’erano a dicembre. Purtroppo non sarà così».
Gates crede comunque che l’umanità sconfiggerà il virus, «ma soltanto quando la maggioranza della popolazione sarà vaccinata. Fino ad allora – ha scritto senza giri di parole – la vita non tornerà alla normalità».
La speranza di Gates è che la produzione del vaccino inizi «entro la seconda metà del 2021». Avete letto bene, 2021 non è un refuso, non voleva scrivere 2020 ma proprio 2021. Ed è soltanto una speranza, perché ci sono stati virus il cui vaccino è stato prodotto dopo quattro anni e altri casi, come per l’Hiv, in cui i virologi a un certo punto hanno addirittura rinunciato.
Gli esperti consultati dal New York Times per un articolo che negli stessi giorni ha fatto il giro del mondo hanno confermato che l’ipotesi di produrre un vaccino in diciotto mesi, quindi per la seconda metà del 2021, è ottimistica, tanto che lo stesso Gates ha scritto che se il vaccino dovesse davvero arrivare per quella data, tra un anno e mezzo, sarebbe un record storico, il minor tempo mai impiegato dall’umanità per raggiungere l’immunità dopo aver conosciuto una nuova malattia.
Dunque: senza vaccino, cioè fino alla seconda metà del 2021, ma anche oltre perché dovrà essere prodotto, distribuito e somministrato, non ci sarà nessun ritorno alla vita, all’economia, ai rapporti sociali di prima, altro che «soglie sentinella» e «interlocuzioni da completare» qualsiasi cosa significhino le parole pronunciate ieri da Conte.
La situazione potrebbe oggettivamente essere molto più grave di quanto sembri alla maggioranza dei reclusi. Una classe dirigente seria dovrebbe considerare lo scenario più realistico per immaginare la ripartenza anziché inseguire la fantasia di poter riaccendere l’interruttore a breve o impelagarsi in dibattiti se chi ha la casa sulla spiaggia può farsi il bagno o a quanti metri di distanza si può correre al parco o se si può raggiungere la suocera fuori provincia, ma a patto di consegnare una pizza margherita.
Se non si dice chiaramente che senza il vaccino non ci sarà piena sicurezza nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli uffici, nei negozi, nei ristoranti, negli stadi e sui mezzi di trasporto pubblico così come li conosciamo non si dice la verità. E siccome è ovvio che non possiamo stare chiusi in casa per quasi due anni il compito di chi guida il paese dovrebbe essere quello di programmare una straordinaria campagna di controlli a tappeto, di test frequenti e ripetuti e di tracciamento serio per consentire la liberazione di chi non è contagioso e, allo stesso tempo, per riscrivere le regole della convivenza civile e le nuove norme comportamentali, per ridisegnare i processi produttivi e per immaginare nuove modalità di aggregazione, più che spingere sulla retorica della ripartenza e sull’obbligo di misurare la temperatura che, come è evidente, non serve a nulla con gli asintomaci.
Di questo virus sappiamo poco, quasi niente: non sappiamo se con il caldo dell’estate arretrerà, non sappiamo se in autunno tornerà con una seconda ondata più devastante della prima, non conosciamo il numero reale dei contagiati, non conosciamo la percentuale di mortalità degli infetti, non sappiamo se una volta guariti ci si possa riammalare, non sappiamo se esiste una forma di immunità né quanto duri, non sappiamo che cosa causi davvero la morte degli ammalati di Covid, ovvero se sia un problema respiratorio o cardiovascolare o una reazione eccessiva degli anticorpi umani.
La conseguenza, appunto, è che non sappiamo quando si riuscirà a trovare un farmaco, non sappiamo quando arriverà il vaccino e nemmeno se arriverà.
L’unica cosa che sappiamo è che siamo ancora lontanissimi dal ritorno alla vita precedente il virus e che nel pieno della più grande crisi della nostra epoca, una prova che farebbe tremare i polsi di chiunque, a Palazzo Chigi c’è il più impreparato di noi.