ConfiniIl covid-19 ha fatto ammalare anche Schengen

Sedici dei 26 Paesi firmatari dell’accordo sulla libertà di circolazione hanno sospeso la possibilità per i cittadini di spostarsi senza essere controllati alle frontiere. In passato è successo altre 116 volte, spesso per terrorismo o grandi eventi politici

Afp

La rapida diffusione del Covid-19 non ha limitato solo la nostra libertà, ma anche la mobilità di molti altri europei. E i posti di blocco nei confini tra città, regioni e Stati ha portato anche nella maggior parte degli Stati dell’Unione europea la sospensione dello spazio Schengen. Parliamo dell’accordo, entrato in vigore nel 1995, che ha abolito le frontiere e i controlli alle dogane tra i Paesi membri permettendo la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei paesi firmatari. 

Secondo uno studio dello European Parliamentary Research Service (Eprs), su 26 Paesi firmatari dell’accordo Shengen – 22 Stati membri e 4 paesi extra Ue -, sono in totale 16 quelli che hanno richiesto la sospensione dell’accordo a causa delle minacce all’ordine pubblico legate alla diffusione della pandemia da Covid-19. Gli altri, seppur non hanno formalmente adottato la chiusura totale, la applicano di fatto, introducendo dei controlli molto restrittivi.

L’Italia, per esempio, sebbene non abbia sospeso in toto l’accordo, ha introdotto il divieto dei viaggi non essenziali e ha istituito un regime di quarantena per i viaggiatori che tornano dall’estero. La gestione dei servizi aerei è limitata in numerosi aeroporti. Insomma, non certo un momento facile per uno degli accordi europei più importanti, che ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’Unione.

Tra gli Stati che non hanno sospeso l’accordo c’è la Slovenia che però ha posto delle speciali condizioni per chi arriva al confine passando dall’Italia. Anche Malta e i Paesi Bassi non hanno chiesto alla Commissione di sospendere Schengen. Però La Valletta dal 10 marzo ha sospeso tutti i voli passeggeri diretti da e per Italia, Germania, Spagna, Francia e Svizzera e Amsterdam non fa più atterrare gli aerei che provengono da Italia (dal 13 marzo), Spagna (21 marzo) e Austria (23 marzo).

Di fatto l’Europa è il solo continente che ha tutti gli Stati in regime di chiusura, passando dall’essere l’area di scambio più ricca a quella che più di tutte soffre le conseguenze del lockdown.

Ma cosa vuol dire, in concreto, sospendere Schengen? Facciamo ordine e partiamo da un presupposto. Esiste un articolo, il numero 28 che permette agli Stati membri di sospendere temporaneamente l’accordo se c’è una minaccia immediata ed eccezionale.

Per farlo, devono informare la Commissione e gli altri Stati membri e la durata della misura deve essere limitata a dieci giorni, con la possibilità di proroga per periodi rinnovabili di venti giorni, fin ad un massimo di due mesi. L’iter porterà all’emanazione di un parere, ovvero un atto giuridicamente non vincolante ma in grado di fornire un indirizzo, da parte della Commissione. 

Nel caso specifico, per affrontare la situazione straordinaria causata dal covid-19, a fine marzo gli Stati membri hanno accettato la proposta della Commissione sulla restrizione dei viaggi non essenziali nell’Ue per un periodo di 30 giorni. Un tempo, però, che è destinato a protrarsi fino a che rimarrà il rischio di una diffusione del contagio. Potrebbero passare molti altri mesi ancora.  

Per garantire la libera circolazione di beni e servizi nel mercato unico, la Commissione europea ha presentato delle linee guida per la gestione delle frontiere, non solo per proteggere la salute dei cittadini ma anche per garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali.

Bruxelles chiede ai Paesi membri di applicare le nuove regole sui controlli alle frontiere in modo «proporzionato» e «coordinato». Insomma, il tentativo è quello di evitare scelte unilaterali che potrebbero essere politicamente deleterie e portare l’accordo a non essere messo nel dimenticatoio una volta terminata la pandemia. 

Finora, il Trattato di Shengen è stato sospeso per un totale di 116 volte solo dai singoli Stati membri, senza bisogno di un’azione comune a tutta l’Unione, come in questo caso. La maggior parte delle sospensioni sono state richieste per favorire la lotta al terrorismo e al contenimento delle migrazioni.

La prima volta accadde nel 2006, quando la Francia ne chiese la sospensione per otto ore a causa delle manifestazioni di giovani radicali baschi a Saint-Pee-sur-Nivelle e Bayonne. Solitamente, l’accordo viene sospeso per lo più in occasione di grandi eventi sportivi e summit internazionali, che riuniscono in uno stesso luogo i leader mondiali, diventando luoghi ad alto rischio per attacchi terroristici.

Parigi ha chiesto alla Commissione un permesso per estendere il periodo di controllo alle frontiere introdotta il 31 ottobre 2019 e che scadrà lo stesso giorno nel 2020.

L’Italia ha reintrodotto i controlli alla frontiera per il G8 di Genova, nel 2001, per quello de L’Aquila, nel 2009, e per il G7 di Taormina, nel 2017. In tutte e tre le circostanze si sono creati gli estremi per l’eccezionalità della misura. Altre volte in cui la misura è stata discussa, sono quelle risalenti al luglio 2011 per la strage di Utøya, in Norvegia, e in Francia dopo gli attacchi a Parigi del novembre 2015.