«Siamo in guerra»Macron chiude tutto, ma è in ritardo e ha commesso tantissimi errori

Il presidente francese ha annunciato delle misure uguali a quelle italiane: quarantena per tutti finché sarà necessario. Non era imprevedibile, ma il governo ha agito in modo contraddittorio, addirittura lasciando svolgere le elezioni comunali questa domenica. Esempi da non seguire

Ludovic Marin / AFP

La Francia come l’Italia, con una settimana esatta di ritardo. Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha annunciato il divieto di tutti gli spostamenti non necessari a partire da mezzogiorno di martedì 17 marzo. «Siamo in guerra», ha detto sei volte Macron per giustificare le misure che limitano la libertà di circolazione e per far capire ai francesi che il governo si prenderà cura dell’economia: «Lo Stato pagherà. Nessuna impresa verrà lasciata fallire». In giornata, il presidente francese aveva partecipato a una telefonata con la cancelliera tedesca Angela Merkel, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel per risolvere la questione delle frontiere. La Germania aveva annunciato la chiusura dei confini con la Francia per evitare ulteriori trasmissioni del virus, ma la misura era stata subito condannata dalla Commissione europea, che ha dunque raggiunto un compromesso: sarà tutto lo spazio Schengen a chiudere le proprie frontiere con il mondo, per evitare decisioni in ordine sparso degli Stati membri. La decisione è stata condivisa da tutti gli altri governi europei, compreso quello italiano.

Il discorso di Macron era diventato necessario dopo un weekend disastroso per la gestione della crisi. Il presidente era stato molto criticato per aver deciso di mantenere il primo turno delle elezioni comunali svolte questa domenica, nonostante il governo avesse decretato la chiusura delle scuole giovedì sera e la chiusura di tutti i negozi tranne quelli che vendono generi essenziali sabato pomeriggio.

Secondo un retroscena di Les Echos, pubblicato pochi minuti dopo la fine del discorso presidenziale di giovedì, Emmanuel Macron intendeva rinviare le elezioni comunali, perché riteneva irragionevole permettere il normale svolgimento del voto in un quadro di emergenza sanitaria. Ma il presidente del Senato, Gérard Larcher, esponente di spicco dei Républicains, l’opposizione di centrodestra, si sarebbe opposto, e il Consiglio costituzionale, consultato in via informale dall’Eliseo, non avrebbe garantito una sua approvazione al rinvio delle elezioni. Che quindi si sono svolte per ragioni eminentemente politiche. E che hanno mostrato un potere centrale debole e poco disposto a scontrarsi con l’opposizione, anche se per delle ragioni fondate come la salute pubblica. In più, com’era prevedibile, molti francesi hanno deciso di non andare a votare: l’astensione al primo turno è stata molto alta, 55,36 %, 20 punti in più rispetto alle elezioni del 2014.

La “macronia” ha provato in tutti i modi a dare la colpa all’opposizione di centrodestra di una decisione percepita come irresponsabile. Ma probabilmente questa è soltanto una parte della storia. Gérard Larcher, diretto interessato, ha in effetti fornito una versione un po’ diversa: ha ammesso di essersi opposto al rinvio prima del discorso di giovedì ma ha precisato che sabato aveva cambiato idea in seguito alle ulteriori misure annunciate dal governo e al contesto molto diverso nel quale il voto si sarebbe tenuto. Un rimpallo di responsabilità che mostra la confusione nella quale è finito il governo francese, impreparato probabilmente ad affrontare un aggravamento così repentino della situazione.

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Queste contraddizioni, unite alla comunicazione delle settimane scorse, molto rassicurante rispetto al decorso della malattia, hanno causato una generale sottovalutazione del pericolo da parte dei cittadini francesi. Domenica, vista la giornata soleggiata e rassicurati dalle elezioni comunali in corso in tutto il paese, i francesi si sono riversati in strada, sia perché poco rispettosi del decreto del governo, sia perché poco informati sulla reale gravità della situazione. Il 9 marzo, il ministro della Salute Olivier Véran, spiegava in televisione la differenza tra l’Italia e la Francia: «Nel picco epidemico la capacità degli ospedali è inferiore al numero dei malati da curare. Questo è quanto sta accadendo in Italia. L’obiettivo della nostra politica è di ritardare il picco epidemico, come siamo riusciti a fare fino a oggi, e diminuire il volume di malati che hanno bisogno di cure contemporaneamente e far sì di restare sempre al di sotto della soglia di saturazione. La nostra politica serve a questo: non possiamo evitare che il virus circoli nel nostro territorio, ma possiamo evitare di avere troppi malati nello stesso momento». Discorsi del genere hanno avuto senza dubbio un impatto sulla non percezione del pericolo.

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I giornali francesi stanno cominciando soltanto in questi ultimi giorni a raccontare la situazione sempre più grave all’interno degli ospedali, aiutati anche dagli appelli che gli alti funzionari della Sanità indirizzano alla Nazione: «Si tratta di un’epidemia molto rapida, osserviamo che il numero di casi raddoppia ogni tre giorni. Gli ospedali hanno grandi difficoltà a occuparsi dei pazienti che arrivano ogni giorno a tutte le ore. Lancio un appello alla mobilitazione generale, sarebbe catastrofico cominciare a scegliere chi curare e chi no nelle rianimazioni perché non c’è più posto per tutti», ha spiegato il direttore generale del ministero della Salute, Jérôme Salomon. Ancora più chiaro, se possibile, è stato Martin Hirsh, direttore generale dell’Assistance publique- Hôpitaux de Paris (AP-HP), l’azienda ospedaliera della capitale: « Se volete aiutare gli ospedali, bisogna far sì che la vita sociale si restringa. È fondamentale. Vi supplico, applicate le misure annunciate».

Come prevedibile, molti francesi non hanno affatto ascoltato gli appelli dei medici, ma hanno cominciato ad abbandonare le grandi città per rifugiarsi nelle case in campagna e attendere lì la fine del «confinement», la quarantena. Una pessima idea che potrebbe causare un enorme afflusso di pazienti in strutture ospedaliere sottodimensionate e già in difficoltà a curare la popolazione residente.

Nel pomeriggio di lunedì il primo ministro Édouard Philippe ha proposto di rinviare il secondo turno delle elezioni comunali al 21 giugno. Una scelta obbligata a questo punto e confermata da Macron nel suo discorso, ma che sarà con ogni probabilità contestata in sede giuridica. Dominique Rousseau, professore di Diritto Costituzionale all’Università Paris I Panthéon-Sorbonne, ha spiegato lunedì mattina al Monde che: «Il rinvio del secondo turno comporterebbe un annullamento automatico del primo. Le elezioni comunali formano un blocco, non si possono separare i due momenti. I risultati del primo turno condizionano largamente il secondo».

La crisi sanitaria lascerà profonde tracce anche nel mondo politico francese.

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