Tre piani completamente diversi si stanno sovrapponendo in questi giorni, come fossero l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso nei quali tutti noi siamo contemporaneamente immersi e oscillanti fra l’uno e l’altro: infatti, nella stessa giornata quante volte cambiamo umore?
Tanto che una giornata è un compendio di stati d’animo, come per Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce, così che ci svegliamo magari con la speranza che tutto stia finendo e andiamo a dormire con l’angoscia dell’irreparabile. O viceversa.
L’Inferno ha molti gironi, proprio come nella Commedia. C’è per esempio la sala del Pio Albergo Trivulzio con le bare accatastate. Sono stati commessi dei crimini, a quanto pare. E non solo lì. Si è toccato il fondo, se sono vere le accuse.
Lasciati morire, non è un Paese per vecchi, non è un Paese civile, malgrado l’eroismo di tanti. Non esageriamo con i paralleli con Auschwitz ma quello della Saigon abbandonata dagli americani calza. L’Inferno è anche la bergamasca, i paesini annichiliti dal virus che è stato lasciato circolare per una stupidità senza pari e senza nomi e cognomi.
Alzàno lo ricorderanno i nipoti come noi ricordiamo Caporetto, ma con molta più vergogna, quella fu una sconfitta qui è un crimine. L’Inferno sono quegli indiani che per sfuggire al contagio si sono rifugiati sugli alberi, come se diversi millenni fossero trascorsi invano e fosse stato dunque tutto inutile, pensare, amare, scrivere.
L’Inferno è anche un primo ministro che lotta contro la morte, lui che avrebbe dovuto guidare i suoi concittadini inglesi alla battaglia e che invece è in un letto d’ospedale mentre la fidanzata aspetta un figlio e lui lo sa, e non c’e dubbio alcuno sul fatto che sull’Inghilterra sia stato scagliato un fulmine particolarmente osceno.
L’Inferno è New York desolata, gli Champs Élysées deserti, piazza Navona nuda, come se il gaudente Novecento chiudesse baracca e burattini, il secolo non è stato tanto breve ma adesso saluta e se ne ne va. C’è un girone auspicabilmente atroce per chi lucra sul dolore e sulle penurie, chi fa incetta e rivende a prezzi alti, la solita camorra, la solita mafia che non mancano mai.
Poi c’è lo stato d’animo confuso delle nostre esistenze nascoste e delle menti intorbidite, come confuso è il quadro generale che abbiamo intorno. Questo tempo sospeso, un Purgatorio tutto bianco, il colore della cecità di Saramago: è una condizione paludosa, si fa un passo avanti e due indietro, poi di nuovo uno avanti e si torna allo stesso punto di partenza. Arriva il decreto, l’ordinanza, la circolare, questo sì, questo no, questo forse. Si riapre, non si riapre.
La tortura di dover interpretare norme scritte d’impulso, è come sulla neve quando non si sa sciare, si è ridicoli e ci si può rompere una gamba, e anche questo non è da Paese normale. La palude è questo Purgatorio nel quale siamo qui, vivi ma storditi, in attesa di luce, di una parola chiara che salga dalla pianura su su su fino a noi che stiamo nella Montagna incantata.
Ma dicono adesso che un barlume di luce c’è, laggiù, è la tanto agognata fine del lockdown, quando sarà. Ma appunto, quando sarà? I cronisti fanno a gara per cavare di bocca ai politici e agli scienziati un’ora x, ma quando finisce, quando. Solo il dolente Angelo Borrelli, con la sua flebile voce che ricorda un po’ quella di Lucio Battisti – quando parlava – si è lasciato sfuggire una data ed è stato massacrato.
Non c’è una data, questa è la verità. Non ci sarà un 25 aprile in cui riempiremo le piazze e abbracceremo le ragazze come quel giorno del ‘45. Usciremo un po’ alla volta, come soldatini finora acquattati dietro i cespugli delle nostre abitazioni, prima i giovani poi gli altri, forse, ancora non è chiaro.
E cercheremo, e troveremo infine, il Paradiso della libertà ritrovata, seppure mutilata da quel metro e mezzo e dalle mascherine sulla spiaggia (mai pensato a una cosa più ridicola), forse sarà un Paradiso fra le macerie economiche e morali, o forse sarà un ritorno ad una vita non ancora pienamente “vita” ma sarà comunque meglio del Purgatorio di oggi, per non dire dell’Inferno che adesso è dentro e fuori di noi.