Oro alla Patria: i numeri (di seguito arrotondati) smentiscono la “finanza sovranista”. Solo il cinque per cento del debito pubblico italiano è direttamente in mano alle famiglie e alle imprese italiane. Il resto si divide fra le banche centrali – la Bce e la Banca d’Italia, che hanno un venti per cento – le banche di credito ordinario, le assicurazioni, e i fondi d’investimento italiani, che hanno un quarantacinque per cento, e le istituzioni finanziarie estere, che hanno un trenta per cento.
La quota in mano direttamente al settore privato italiano è quindi pari al 50% del debito. Il resto è delle banche centrali e dell’estero. Quest’ultimo ha in portafoglio ben settecento miliardi di titoli del Tesoro.
Il settore privato italiano non potrebbe perciò far nulla se quello estero decidesse di non rinnovare i propri Bot e Btp in scadenza. Insomma, i numeri smentiscono chi crede (o chi si illude, o illude) che grazie a un’ondata popolare di risparmiatori nostrani, il debito pubblico del Bel Paese possa andare sotto controllo.
Come fare allora, se, visti i numeri, dobbiamo essere volens nolens “europeisti”?
Qui la sintesi di una proposta.
A causa della crisi da coronavirus il bilancio dello Stato avrà un gettito fiscale inferiore cui vanno aggiunte nuove spese per sussidi, sanità, eccetera. Si dovranno quindi sommare alle minori entrate anche le maggiori spese. Una manovra fiscale centrata sulle maggiori imposte vanificherebbe la manovra espansiva necessaria e innescherebbe una spirale di recessione e deflazione.
Un prestito collocato sul mercato interno si scontrerebbe con l’esiguità del risparmio netto nazionale. Le banche, d’altra parte, dovranno tutelare il loro patrimonio per erogare crediti di emergenza, mentre convincere gli italiani a liquidare in perdita i propri investimenti per acquistare titoli di Stato richiederebbe un rialzo del costo dell’intero debito pubblico.
Il prestito europeo solidale (o a garanzia solidale) resta la soluzione preferibile, per la possibilità di mitigare il tasso di provvista e di farne oggetto del Quantitative easing da parte della Bce. Il Quantitative easing espande la moneta ed è legale, mentre la helicopter money no, malgrado questa potrebbe circolare immediatamente nell’economia reale.
Una discriminazione che non ha basi da far valere. Infine, i centri finanziari offshore sono salvadanai che si accrescono di anno in anno. Raccolgono forse un quarto dell’intera ricchezza finanziaria globale. I paesi Ocse dovrebbero accordarsi per stabilire un modo per riscuotere una tassa patrimoniale comune, dell’ordine dell’uno per cento, sulle ambigue masse offshore.
Gli stessi Stati-offshore dovrebbero fare da tramite rispetto alle proprie banche, fondi, holding e trust. In caso di inadempimento, ci sarebbero le sanzioni.