Alcuni giorni fa il Centro Studi di Confindustria ha diffuso un rapporto sull’impatto che il coronavirus avrà sull’economia italiana. Secondo questo report le misure messe in atto per fronteggiare l’emergenza sanitaria, porteranno quest’anno il nostro Paese a registrare un calo del Pil del 6%. Il concetto chiave è l’atipicità delle cause che stanno generando la recessione: «Non nasce dall’interno del sistema economico italiano, né in quello internazionale, né dall’incepparsi di qualche meccanismo dei mercati finanziari o dalla necessità di “correggere” qualche eccesso».
In soldoni questo meteorite che ha colpito l’economia italiana è uno shock congiunto di offerta e di domanda poiché al blocco prolungato di molte attività economiche, necessario per arginare l’epidemia, si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno sia dall’estero. Per scongiurare conseguenze estremamente pesanti per i cittadini, «il nostro Paese deve muoversi subito, con una ingente dotazione di risorse volte a generare effetti positivi per tutte le imprese italiane. Attivando un flusso di liquidità che consenta di diluire nel lungo termine l’impatto della crisi per le imprese, senza appesantire eccessivamente il debito pubblico».
Dal pari suo, Mario Draghi sulle pagine del Financial Times, ha ricordato che la base imponibile deriva dall’economia. Se nel nostro Paese salta la base imponibile non ci salveremo di sicuro e il costo sociale sarà davvero insostenibile e purtroppo concentrato sulle fasce più deboli. «La questione chiave – scrive Draghi – non è se, bensì come lo stato debba utilizzare al meglio il suo bilancio. La priorità non è solo fornire un reddito di base a tutti coloro che hanno perso il lavoro, ma innanzitutto tutelare i lavoratori dalla perdita del lavoro. Se non agiremo in questo senso, usciremo da questa crisi con tassi e capacità di occupazione ridotti, mentre famiglie e aziende a fatica riusciranno a rimettere in sesto i loro bilanci e a ricostruire il loro attivo netto».
Da un lato il punto di vista delle aziende, dall’altro quello del lavoratore, entrambi guardano alla politica come fonte di risposte e misure concrete ma adeguate all’eccezionalità del momento. Ma l’eccezionalità del momento consiste davvero solo dall’arrivo di questo meteorite chiamato Covid-19? L’eccezionalità del momento non è forse figlia di una crisi valoriale di proporzioni tali da meritare di essere definita anche essa “emergenza”? E non è forse questa l’emergenza di cui avere maggior timore visto che non è di facile né di immediata risoluzione avendo un orizzonte temporale di lungo periodo.
Se pensiamo al ruolo più che mai essenziale della politica in queste ore, non possiamo non comprendere quanto la competenza e le capacità decisionali basate proprio su competenza e tempestività, siano caratteristiche necessarie. Tuttavia non abbiamo una classe politica che, si badi bene, non è numericamente limitata a quelle sole cariche istituzionali che siamo abituati a vedere alternarsi davanti alle telecamere dei TG. Ma si esplicita nel rapporto tra la dimensione locale dei comuni e quella centrale del Governo.
Così come si esplicita nel rapporto con l’Europa. Come possiamo pensare di ridisegnare un modello Europeo alla luce delle grosse crepe che si stanno manifestando così chiaramente? Le stesse capacità e competenza, sono un tema centrale anche nella classe dirigenziale delle aziende che a monte vede un continuo processo di assottigliamento del ruolo dell’istruzione che oltre tutto deve ritornare primario a tutti i livelli sociali. Come potremo comprendere la natura del rapporto tra i diritti e i doveri di noi singoli individui rispetto allo Stato, rapporto che mai come in questi giorni ha mostrato la sua condizione di estrema fragilità, se non abbiamo gli strumenti per farlo?
Come potremo pensare di snellire l’alberatura burocratica del nostro sistema senza competenze adeguate? Come potremo rispondere adeguatamente alla crisi climatica e ambientale, che non si è nel frattempo risolta in autonomia mentre rispettiamo il lockdown. Sono temi complessi di un’epoca molto complessa che non lascia margine di errore. Oggi più che mai vediamo una supplica alla competenza, oggi la speranza che le risposte alla nostra emergenza sanitaria è riposta in ricercatori, scienziati, medici, biologi, domani lo sarà in ingegneri, architetti, progettisti, dopodomani in agronomi o in geologi.
Dobbiamo iniziare ora a pensare come rispondere in futuro. Perché il dopo non esiste come tempo e luogo a sé stante, il dopo inizia adesso. Dobbiamo trovare adesso la via per reinserire il pensiero etico e filosofico, l’analisi sociale e storica, al centro dell’intero sistema per questo servono gli innovatori, menti e persone competenti che creino le soluzioni ai problemi agendo e pensando in modo nuovo. Abbattendo le vecchie dicotomie politica – potere, imprenditoria – denaro. Elevando l’umanità e il mondo. Generando e ricevendo Gratitudine.