Falsi mitiIl modello Italia per affrontare l’emergenza non esiste

L’ininterrotta sequenza di errori diventerà piuttosto un caso da manuale di cosa non fare. Quattordicimila morti dovrebbero far ricredere quelli che negli ultimi anni si sono cullati nell'idea di una nostra eccellenza

YONHAP / AFP

Il cosiddetto modello italiano di contrasto al coronavirus non esiste e temo che non sia mai esistito. Diventerà piuttosto un caso da manuale di cosa non fare. Quattordicimila morti dovrebbero consentire di riporre nel cassetto l’idea nella quale molti si sono cullati di una nostra eccellenza. Altro è il nostro di essere del sistema sanitario (che gode di una certa fama nel mondo), altro una prova specifica che richiedeva procedure, servizi e scelte ben precise. Ormai abbiamo elementi a sufficienza per affermare che il “modello Italia” è poco meno che un’ininterrotta sequenza di errori (ogni tanto qualcuna se ne indovina, per la legge dei grandi numeri), a cui si devono – ahinoi – una parte molto significativa dei deceduti. Ciò a causa di un governo di eterogeneo, nato per caso, di scarso profilo e inesperto, a partire dalla sua guida e dal titolare del ministero della Salute, capitato lì per caso per qualche algoritmo del manuale Cencelli 2.0.

Sembra un quadro eccessivo? Basti pensare alla improvvida chiusura dei voti diretti dalla Cina, che ha fatto rientrare centinaia di migliaia di persone da altri scali e senza controlli, agli ospedali ridotti a focolai e vettori di contagio; alla percentuale impressionante (circa il 10 per cento dei contagiati ufficiali) di personale medico e paramedico contagiato e quindi fuori gioco a causa dell’assenza o insufficienza di dispositivi sanitari di protezione individuale; alla situazione esplosiva delle case di riposo per anziani per evidente carenza di prevenzione e controlli; al tempo prezioso (almeno un mese intero) perduto alla ricerca non solo nella direzione sbagliata, ma pure pigra, del paziente uno.

Anche la serrata degli impianti industriali e produttivi annunciata senza indicazioni operative, tanto è vero che di fatto è stata rinviata di diversi giorni; le fughe di notizie e agli annunci non seguiti da norme con tutte le conseguenze del caso (leggasi fughe di massa verso la Sardegna e il sud Italia); le persone contagiate con sintomi o addirittura morte a casa senza neanche che venisse effettuato il tampone per inefficienze e contraddittorie o illogiche direttive sanitarie e amministrative. Non è neanche tutto, ma già così vi pare poco?

Si confronti con la Germania: tantissimi contagiati e pochissimi morti e ciò per quanto la Germania abbia avuto il primo contagiato ufficiale il 27 gennaio, mentre l’Italia l’ha avuto attorno al 22-23 febbraio, perché il paziente uno è stato sciattamente ricercato con criteri erronei dato che si cercava un paziente proveniente dalla Cina. L’Istituto superiore di Sanità solo attorno al 10 marzo, quando già eravamo chiusi in casa, ha ammesso che il contagio non proveniva dalla Cina e il virus circolava da tempo in Italia., come sosteneva intuitivamente da settimane Ilaria Capua.

Di conseguenza nel frattempo ci sono stati nella migliore delle ipotesi parecchie centinaia di contagi, mentre in Germania si ricostruivano da settimane nella sobrietà e nell’ordine di un’efficiente macchina ordinaria di gestione dello straordinario le catene del contagio. Questa è la ragione per cui le statistiche in Germania ci sono sembrate a lungo sospette, se non taroccate. Erano troppo divergenti dalle nostre, ma è stato un errore cognitivo ritenere che le nostre fossero giuste perché più gravi (in particolare nel rapporto di letalità) e le loro sbagliate perché più lievi.

Differenze statistiche e di contabilità ce ne possono essere e ce ne sono state, ma bastava poco a capire che le statistiche tedesche erano messe su con criteri di maggiore attendibilità. La forchetta enorme tra Germania e Italia dipendeva dalla inattendibilità delle nostre, con un numero di contagiati sotto-riportato (cd. under reporting) e uno effettivo enormemente superiore, come ora emerge anche da studi internazionali. La Germania aveva pensato e realizzato politiche mirate e tamponi su campioni di popolazioni rappresentative o comunque risalendo le catene di contagio.

Se il modello Italia si riducesse alla scelta del distanziamento sociale e poi del contenimento a casa, misure prive di alternative in questi casi (almeno la natura fondamentale del virus era nota: nuovo, contagioso, insidioso per la necessità di ricoveri: pertanto la cui circolazione andava limitata assolutamente, come poi ha compreso il premier inglese Boris Johnson), ovviamente tali misure erano già stato adottate in Cina, con le differenze del caso.

Gli errori del resto emergeranno ancora più chiaramente nei prossimi mesi. Si è cercato di porre riparo, tralasciando le forme prescelte, con regole ottuse e sanzioni più volte modificate fino a non capirsi più nulla. Sfido chiunque a dire su due piedi cosa gli accade se esce di casa senza giustificato motivo e magari in caso di recidiva. Vorrei pertanto mostrare come anche su questo piano il confronto con i nostri vicini ci faccia uscire male, malissimo.

In Italia sono state previste sanzioni penali per il solo fatto di uscire da casa senza giustificato motivo. Il risultato è un incredibile numero di abitanti, 115.138, che in pochi giorni si sono ritrovati denunciati penalmente, con il casellario giudiziario a rischio. Il Governo è stato costretto alla retromarcia, imitando la via perseguita in altri paesi europei. Con il decreto legge del 25 marzo sono state eliminate retroattivamente queste sanzioni e tramutate in illecito amministrativo, punito con il pagamento di una somma da 400 a 3mila euro, che viene incrementata di un terzo se il fatto è commesso con l’uso di un veicolo (in caso di recidiva, cioè se si viene trovati più volte a non rispettare i divieti, l’importo viene raddoppiato). Su anziani, bambini e jogging si è fatta una tremenda confusione, non ancora dissipata. Il modulo dell’autocertificazione, poi, è stato cambiato quattro volte, a fronte di norme grosso modo identiche.

Nonostante ciò manca la chiarezza su cosa sia “urgente”, cosa sia una distanza di “prossimità” e altro. Nelle regole di transito tra i comuni si è fatta confusione, con un ginepraio di interpretazioni che permangono tuttora. A proposito delle limitazioni intercomunali, prima ancora di questi divieti l’eliminazione della zona rossa nei dintorni di Codogno ha determinato un vero e proprio disastro in termini epidemiologici. Tra l’altro il governo nei giorni successivi non ha più ammesso di aver allentato le misure per quei territori, è passata la lettura si fosse estesa la “zona rossa” a tutta Italia: fu invece contro ogni logica eliminata la zona rossa, comprendente una serie di comuni, e prevista una “zona arancione” valevole per tutta Italia.

I sindaci e i presidenti di regione, giusto o sbagliato, non hanno mai accettato tale impostazione, temendo (giustamente) le conseguenze di un’improvvida apertura del “fronte” più virulento, e hanno iniziato a produrre atti per lo più illegittimi ma non più contestati dai prefetti (dipendenti dal governo). Il governo ha sempre espressamente negato la legittimità di interventi regionali più restrittivi ma alla fine li ha ammessi, palesemente contraddicendosi, visto che non era certo cambiato qualcosa che giustificasse questo cambio di politica. E poi siamo sicuri che secondo la Costituzione spettasse al governo decidere se tali poteri regionali sono esercitabili o meno?

Confrontiamo rapidamente questa Babele con le regole adottate in altri paesi comparabili col nostro. In Francia l’Assemblea Nazionale (non il governo) ha previsto e poi aumentato le sanzioni per chi esce senza giustificato motivo: la multa di 135 euro può essere aumentata fino a 1.500 euro in caso di recidiva. A parte le solite ragioni (spesa, urgenze, etc.) si può uscire a fare una passeggiata con i figli o fare esercizio fisico, purché nel raggio di un chilometro da casa (la distanza è indicata con precisione, e si evitano riferimenti a cose dubbie come isolati, vicinati, paraggi, etc.), e viene quantificata nel tempo e nei modi: al massimo per un’ora, da soli e una sola volta al giorno. Tutto da autocertificare previamente sulla modulistica.

Vediamo il modello Germania (per la cui ricostruzione ringrazio Edoardo Toniolatti). Uscire all’aperto è consentito rispettando la distanza e fare sport non solo è possibile ma è un’attività incoraggiata. È possibile perfino stare all’aperto in piccoli assembramenti se famiglie o coinquilini, regola di impeccabile logica (in Italia c’è voluta una circolare per chiarire che non bisognava multare i coniugi in auto per il solo fatto di essere in due, o imporre loro di sedere su file diverse!). Non sono previste sanzioni né la presentazione di documenti che mostrino la necessità di lasciare il proprio domicilio. Va detto che alcuni Länder potevano adottare e hanno adottato misure più restrittive.

Altro che modello. Se non ci fosse da piangere, potremmo affermando scherzosamente che siamo una Francia che non ce l’ha fatta, restando inviluppati in tutti i bizantinismi e le confusioni del caso. La Germania poi è un altro pianeta.

In definitiva: abbiamo copiato dalla Francia gli illeciti amministrativi e dalla Germania il trattamento dei coniugi, senza arrivare a riconoscere in modo chiaro diritti come quello a uscire con il solo rispetto delle distanze sociali (Germania); o almeno alla passeggiata (Francia); a fare sport solitario (Francia e Germania); a poter essere e permanere in strada insieme a conviventi, familiari e non (Germania).

Il capolavoro è stato il presidente del Consiglio Conte che in conferenza stampa spiegava come i bambini possono uscire solo al seguito dei genitori per fare la spesa. Non sia mai detto che i nostri bimbi prendano un’ora d’aria e i loro genitori tornino a casa a mani vuote. Forse basta una caramella?

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