L’appelloIl coronavirus rischia di devastare le comunità rom e sinti

Dijana Pavlovic, rappresentante di Kethane: «Il pericolo di contagiarsi è molto alto perché ci sono tante persone in spazi piccoli, privi di servizi e spesso addirittura senza acqua»

Alberto PIZZOLI / AFP

In questo momento nel Paese tutti siamo chiamati a fare sacrifici e a rispettare le regole necessarie a fronteggiare l’emergenza. Davanti al virus cadono ogni tipo di barriere culturali, etniche, social. Tutti sono vulnerabili ma tuttavia, c’è una fascia di popolazione, italiana, estremamente esposta e fragile, totalmente abbandonata, più debole, più povera, colpita di più senza che nessuno se ne accorga o se ne preoccupi. È quello che sta succedendo in questi giorni nei campi delle comunità rom e i sinti, terrorizzate perché sanno che nelle condizioni in cui vivono, tantissimi in poco spazio, sono più a rischio degli altri; preoccupati perché sanno che le comunità, per la bassissima qualità della vita, hanno un numero molto più alto di persone con problemi di salute che rischiano la vita se si infettano; arrabbiati perché, essendo lavoratori precari, spesso anche in nero, raccoglitori di ferro, venditori di cose usate nei mercatini, non hanno più nessun guadagno. Per non parlare di chi sopravvive chiedendo l’elemosina. Ma anche quelli che hanno un’attività propria, come i giostrai e i lavoratori dello spettacolo viaggiante, che da generazioni con grande amore e sacrificio portano avanti le loro attività, sono alla fame, e nessuno sinora ha pensato di inserirli nelle categorie da aiutare e sostenere in questo momento di emergenza.

Nei campi rom e sinti, specialmente quelli grandi come a Roma, in questo momento la situazione è drammatica non soltanto perché le persone sono nel panico ma anche perché ogni tipo di servizio è stato sospeso. Il pericolo di contagiarsi è molto alto perché ci sono tante persone in spazi piccoli, privi di servizi e spesso addirittura senza neppure l’acqua. Per questo, un grande numero di persone, metà delle quali sono bambini, in questo momento è letteralmente alla fame, non ha possibilità economiche di comprare generi alimentari di prima necessità, latte in polvere, pannolini e sapone.

Non siamo preoccupati soltanto della salute di questi cittadini italiani ma anche perché è difficile immaginare che in una situazione del genere qualsiasi essere umano possa rimanere chiuso a casa aspettando di morire di fame. Molti politici e personaggi autorevoli vanno dicendo che siamo in guerra ma purtroppo il loro riferimento è solo macroeconomico, nessuno è a conoscenza di quelle che sono già adesso le vere conseguenza di una guerra. Molti dei membri della comunità sinti e Roma in Italia si ricordano che cos’è la guerra, vengono dai territori della ex Jugoslavia, e in questi giorni rivivono le stesse situazioni con l’unica differenza che la morte arriva senza il preavviso di una sirena antiaereo.

In questo momento di emergenza devono essere messi da parte una volta per tutte le politiche dell’odio, dell’emarginazione, perché si parla di una minoranza, non riconosciuta, di cittadini italiani europei privata di ogni tipo di diritto fondamentale, dall’accesso all’acqua, alla sanità. Da anni la comunità rom e sinti in Italia si batte per il riconoscimento dello status di minoranza che possa permetterle di avere accesso ai diritti base di ogni cittadino italiano. Oggi tale riconoscimento diventa ancora di più una questione di vita o di morte. E non una battaglia politica.

In questi giorni anche i media internazionali hanno messo in discussione il modello di economia familiare italiana. Quelle che per molte famiglie sono stati elementi di sussidio, di supporto sia economico che sociale, i nonni, sono oggi, a tutti i livelli sociali, le categorie più a rischio e minacciate. Se ne accorgono i grandi commentatori internazionali, figuriamoci noi all’interno delle nostre comunità dove la famiglia è il primo valore sociale e culturale. Davanti a questo scenario lo Stato Italiano non può continuare a far finta di nulla, se già per una parte dell’opinione pubblica i campi rom sono un problema da risolvere con le ruspe, oggi il problema diventa non più politico ma umanitario. Si rischia una vera strage di persone, cittadini italiani.

Non è il tempo per fare una battaglia politica per il riconoscimento dello status di minoranza ma è doveroso segnalare l’urgenza e la criticità che il mondo delle comunità rom e sinti in Italia stanno vivendo. Un problema per le intere periferie delle grandi città che non possono farsi sentire, che nessuno vede, ma che vede morire di fame la gente.

*Dijana Pavlovic è rappresentante di Kethane, il movimento della comunità rom e sinti in italia

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