Rivotereste Fontana?Il gran caos della Lombardia e il fallimento del salvinismo di governo

Il mezzo dietro front del governatore leghista sulla riapertura il 4 maggio non attenua i timori su un’organizzazione che, ad oggi, ancora non c’è. Ma le critiche non sembrano smuovere la giunta, che difende strenuamente il suo operato

Attilio Fontana
MARCO BERTORELLO / AFP

Prima si apre il 4 maggio. Poi no. Poi forse. «Mi auguro», ha detto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Dopo aver chiesto al governo di riaprire, Fontana ha dichiarato di essere stato «mal interpretato: non ci permettiamo di parlare di attività produttive, che sono competenza del governo centrale, sottratta a ogni nostra possibile valutazione. Noi parliamo di graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il governo».

Quale che sia la forma della riapertura, nei piani della dirigenza regionale questa dovrebbe seguire “quattro D”: distanziamento sociale, dispositivi di protezione, digitalizzazione e diagnosi. «Uno slogan», secondo il sindaco di Milano Beppe Sala, che all’amministrazione regionale ha rivolto alcune domande via Facebook. «Come faremo con Atm o Trenord a garantire la distanza per i passeggeri?»; «Le mascherine verranno fornite oppure come da ordinanza precedente direte che vanno bene pure i foulard e le sciarpe? Guardate che comincia a fare caldo»; «Sullo smart working: è stato fatto un tavolo con le associazioni degli imprenditori per capire chi sta a casa e chi va al lavoro?». Infine, sui test sierologici, «Le altre regioni sono partite, la Lombardia no. Avete annunciato che dal 21 aprile comincerete in altre province e non a Milano. Quanti milanesi potranno usufruire del test prima di tornare al lavoro entro il 4 maggio?».

Domande di base, che aprono molti dubbi e ulteriori domande su ciò che è stato fatto finora in Regione. Da più e più parti si è detto che la Lombardia non ha gestito bene l’emergenza, e che c’è un motivo se è diventata la prima regione per numero di morti, con il caso delle Rsa per anziani esploso negli ultimi giorni (la Guardia di finanza è andata in Regione il 15 aprile a raccogliere documentazione a riguardo) e i cittadini arrabbiati di sentirsi addossare la responsabilità per i contagi che non scendono.

Il peccato originale della gestione emergenziale lombarda sembra essere lo smantellamento della sanità pubblica in favore di quella privata, il sistema formigoniano che ha privilegiato la parte “ricca” della medicina e trascurato il resto, compresa la sorveglianza e la prevenzione. Così, gli ospedali sono diventati il centro di gravità della sanità, mentre la medicina del territorio è stata dimenticata. Un sistema deflagrato in occasione dell’emergenza da coronavirus.

La giunta regionale ha ingaggiato un prolungato braccio di ferro con il governo sulle misure, culminato recentemente sulla questione delle mancate chiusure per tempo dei comuni di Alzano e Nembro, devastati dall’epidemia. La Regione, su molti di questi temi, si è smarcata, sostenendo di aver aspettato invano le indicazioni del governo, di avere agito anche se con ritardo, e di essersi vista poi rinfacciare quanto fatto. «Siamo stati lasciati soli a fronteggiare questa emergenza», dicono i leghisti in Consiglio.

Ma anche quando la Regione si è mossa da sola, come sui 26 milioni spesi per la costruzione dell’ospedale della Fiera, l’esito non è quello previsto. Ad oggi, meno di dieci persone risultano ricoverate nella terapia intensiva del neo ospedale. «Io dentro di me dicevo: speriamo che non serva a nessuno», ha detto il consigliere leghista Marco Maria Mariani ieri in consiglio regionale. Ma l’organizzazione di una “riserva” basta a giustificare l’impiego di tante risorse, quando ci sarebbero tante altre priorità su cui investire?

«Mi chiedo se, a conti fatti, quella straordinaria raccolta di fondi privati non potesse essere orientata altrove, per esempio in parte a sostenere la medicina territoriale», dice Pierfrancesco Majorino, europarlamentare Pd ed ex assessore alle politiche sociali a Milano. Senza contare che ancora non ci sono tutti i medici e il personale che servirebbero: «Un paziente ricoverato in terapia intensiva viene seguito dagli anestesisti, certo. Ma se uno ha uno scompenso cardiaco ha bisogno del cardiologo, se ha un’insufficienza renale dal nefrologo. Una terapia intensiva da sola rischia di essere una testa senza un corpo», ha detto Carlo Montaperto, vertice dell’associazione primari ospedalieri lombardi.

I vertici regionali si difendono. «Assisto disgustato a molteplici azioni di gigantesca deformazione della realtà e di sciacallaggio politico e mediatico», ha scritto su Facebook l’assessore regionale al welfare Giulio Gallera. «Abbiamo vissuto qualcosa di pazzesco. Ci siamo trovati a dover prendere decisioni immediate per problemi giganteschi. Senza consultare un avvocato, scegliendo sempre per salvare la vita alle persone. Il senno di poi è un gioco facile per chi è rimasto a guardare. Noi eravamo in trincea, e lo siamo ancora».

Eppure, in una regione che ha un budget 25 miliardi l’anno, di cui 20 sono spesi in sanità, «su 80 consiglieri regionali, ce n’è solo uno che ha esperienza di medicina ospedaliera. Tra gli assessori, nessuno ha competenze in sanità», ha detto Michele Usuelli, medico e consigliere regionale di PiùEuropa/Radicali, in un’intervista alla tv svizzera. «Decidono le cose di nascosto, ce le presentano in consiglio a cose fatte. C’è pochissimo dibattito, pochissima capacità di aprirsi a contributi esterni. Abbiamo dato un argomento delicatissimo e difficilissimo da gestire a degli analfabeti in questo ambito».

Le giustificazioni della giunta regionale non bastano a contenere il malcontento. Nel giro di poche ore una petizione online lanciata dai partiti della sinistra milanese ha raccolto oltre 50mila firme: «La sanità lombarda va commissariata». «Siamo di fronte a una serie di carenze molto preoccupanti ed è il motivo per cui mi spingo a dire che debba essere commissariata la gestione sanitaria durante l’emergenza. Non è una questione di destra e sinistra, perché il Veneto ha gestito bene la situazione sanitaria, Lazio ed Emilia-Romagna hanno gestito bene», ha detto Majorino.

È probabilmente anche per questi motivi che fonti in consiglio regionale dicono che nella maggioranza «c’è tensione, stanno con le orecchie basse». Una tensione che, dicono voci di corridoio, potrebbe arrivare a minare gli stessi piani alti. E forse è anche da lì che muove la fretta di riaprire – si dice, su pressione di Matteo Salvini. In fondo, la performance infelice del partito dell’ex ministro dell’Interno, che sta soffrendo del malcontento degli imprenditori, zoccolo duro del sostegno leghista in Regione, non è un elemento da sottovalutare nella gestione della crisi.

Ma sul commissariamento della sanità regionale le opposizioni in Consiglio sono in realtà spaccate. «Commissariare la sanità non servirebbe a niente, rallenterebbe soltanto il lavoro», dice Usuelli a Linkiesta. A questo proposito, il gruppo del Pd ha stilato un emendamento (firmato solo da PiùEuropa, ma non dalle altre minoranze) alla risoluzione numero 34, presentata ieri in consiglio dalla maggioranza, proponendo una via intermedia.

Si prevede, in particolare, l’istituzione di un commissario straordinario alla sanità che si dedichi proprio a coordinare le Agenzie di Tutela della Salute, i medici di base e i pediatri, l’Unità speciale di continuità assistenziale e i servizi sociali dei Comuni «al fine di arrivare ad una completa sorveglianza sanitaria su tutta la regione che gestisca la presa in carico territoriale dei cittadini».

Ovvero, tutto ciò che non è stato fatto finora: la creazione di un tramite vero tra la medicina del territorio e gli ospedali, lavorando sulla catena di comando che riporta fino ai vertici della Regione. È molto probabile che l’emendamento verrà bocciato. Ma avrebbe il vantaggio di portare una professionalità aggiuntiva e specifica in Regione, di coordinamento e implementazione di ulteriori misure che vadano nella giusta direzione.

Una professionalità sanitaria che a maggior ragione servirebbe, posto che tutte le nomine dei vertici sia delle ATS (agenzie di tutela della salute) che delle ASST (agenzie socio sanitarie territoriali) sono politiche, per la precisione appartenenti alla maggioranza (soprattutto Lega, ma anche Forza Italia e Fratelli d’Italia), a conferma di una gestione quasi unicamente politica della crisi.

In tutto ciò, proseguono le conferenze stampa giornaliere e il «teatrino in cui vengono dati dei numeri che non hanno senso: non si può dire quanti sono i nuovi contagiati finché facciamo così pochi tamponi (ora sono circa 9.000 al giorno, ndr)», dice Usuelli. «Sono numeri fuori dalla realtà, esiste una differenza molto rilevante tra i morti in ospedale e i morti totali  a casa e nelle Rsa. Quei dati sono autoreferenziali».

Sulle “quattro D”, intanto, si è ancora molto indietro: le mascherine iniziano ad essere disponibili, anche se non c’è un prezzo calmierato e le farmacie possono venderle alla cifra che preferiscono. Sul distanziamento sociale, poi, non sono ancora stati fatti accordi con le aziende. Fontana ha dichiarato di stare pensando ad un ritorno scaglionato, spalmato su sette giorni invece che su cinque, per garantire una presenza inferiore di persone in azienda. Ma anche sulla digitalizzazione, malgrado ufficialmente si annunci di voler favorire lo smart working in ogni luogo, ancora non sono state previste misure particolari.

Ma il punto più dolente è quello della “diagnosi”. I test sierologici, su cui la Regione sta spingendo con l’ospedale San Matteo di Pavia per fare sì che possano partire in fretta, presentano un difetto fondamentale: con il test, infatti, si verifica lo sviluppo di anticorpi e in quale misura, cioè si verifica se si è immuni. Ma non è chiaro quanto a lungo l’immunità possa durare, perché non è escluso che ci si possa reinfettare.

In più, lo sviluppo di anticorpi non significa necessariamente che ci si sia negativizzati al virus: perciò, il test sierologico andrebbe combinato non con uno, ma due tamponi. Una cosa naturalmente impossibile da fare su larga scala (tanto più che per il momento, dicono dalla Lombardia, si potrebbero fare soltanto 20mila test al giorno). La Regione è cosciente del problema, e infatti, per il momento, si potrà solo fare un’indagine epidemiologica.

In conclusione: con oltre 11mila morti (metà di quelli del Paese, con tutta probabilità più alti in entrambi i casi) e una strategia che ad oggi è tutto fuorché esaustiva, il 4 maggio sembra una data difficile da rispettare.

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