Una gaffe dell’ineffabile ministro degli Esteri Luigi Di Maio non è certo una notizia, ma il suo ultimo inciampo merita attenzione perché rimanda a quanto poco questo governo riesca a giocare le sue carte in Europa. Il 18 maggio, al termine della riunione in teleconferenza dei ministri degli Esteri Ue, il Nostro ha tuonato «non ci saranno corridoi turistici sulla base di accordi bilaterali».
Ottima prospettiva per il turismo europeo, libero di arrivare senza ostacoli a prendere il sole sulle nostre coste e laghi, se solo fosse stata vera. La secca smentita ai desiderata di Di Maio è però arrivata a tambur battente dopo solo 48 ore. Nella riunione dei ministri europei che si occupano del turismo del 20 maggio, infatti, sotto la presidenza del ministro croato Gari Cappelli, si è deciso esattamente il contrario: le frontiere europee verranno aperte solo sulla base di accordi bilaterali.
Incassato il colpo, Di Maio è passato agli auspici «lavoriamo per l’apertura delle frontiere europee il 15 giugno». Il termine «lavoriamo» indica bene che si è in itinere, che nulla è acquisito. Le difficoltà sono enormi, mentre la Spagna ha già annunciato che aprirà le sue frontiere solo il 1 luglio.
La ragione dell’ennesima frantumazione dello “spirito comune” che dovrebbe uniformare l’Unione europea è al solito di lana caprina: la compatibilità epidemiologica. In solido: l’indisponibilità radicale dei paesi baciati da un basso livello epidemiologico ad aprire le frontiere a quelli con un livello più alto. In primis all’Italia.
Durissimo, al riguardo, è stato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz che ha dichiarato – incurante di dare un dolore a Di Maio – che è «irresponsabile aprire oggi le frontiere con l’Italia», anche se, forse, lascerà aperto il fondamentale corridoio di transito che ha portato nella penisola nel 2019 59 milioni di cittadini della Germania, i quali hanno pernottato per 218.800 notti versando nelle casse italiane ben 7,6 miliardi di euro.
Lo spaccato di un’Europa divisa e claudicante risalta ancora una volta perfettamente da queste due riunioni: quella dei ministri degli Esteri ecumenici e unitari di cui il credulone Di Maio si è ingenuamente fidato, subito contrastata e polverizzata dalla riunione dei ministri competenti del turismo in felice e aspra concorrenza l’un con l’altro.
«Ancora una volta – dichiara a Linkiesta un alto funzionario italiano di Bruxelles – l’Europa agisce da confederazione di Stati, con un di più di maligna concorrenza». È infatti trasparente l’obiettivo dell’Austria, della Croazia, della Grecia e di Cipro (che hanno costruito una rapida alleanza turistica quali Covid free) di sottrarre in questa tragica occasione consistenti quote di presenze turistiche a Italia e Spagna, ma anche alla Francia.
In Europa, Spagna e Italia fanno la parte del leone quanto a turismo straniero: la Spagna ha totalizzato nel 2019 471,4 milioni di notti, il 65% di turisti stranieri, l’Italia ha venduto 424,7 milioni di notti, delle quali il 50% a turisti stranieri, invece la Francia ha venduto a turisti stranieri solo il 31,1% dei 431,3 milioni di notti, mentre la Germania ha venduto a turisti stranieri solo il 21,1% dei 399,9 milioni di notti.
Il danno provocato dal coronavirus al turismo europeo è tale che il Commissario europeo al mercato interno, il francese Thierry Breton, ha auspicato che il 20-25% del Recovery Fund sia destinato alle aziende turistiche.
È chiaro che l’ésprit européen può ben poco contro la ghiotta occasione che vedono i piccoli paesi europei nostri concorrenti nell’offerta turistica, tanto che si sono subito consorziati, a deviare verso i loro lidi nostri clienti abituali. Il trucco “scientifico” del differenziale epidemiologico copre questa logica di concorrenza sleale.
Non sapendo fare rete, il ministro degli Esteri può far ben poco di fronte dell’atteggiamento cannibalistico di questi paesi europei che puntano apertamente ad accaparrarsi parte dei 63 milioni di stranieri venuti in Italia nel 2019 (il 13% del nostro Pil, 4 milioni di nostri occupati).