La fase due è iniziata. E non solo non è pronta la app Immuni, ma nemmeno la task force di seimila esperti che nelle Asl di tutte le Regioni dovrebbero tracciare manualmente i contatti e gestire gli alert emessi dalla applicazione, telefonando immediatamente ai potenziali contagiati. Non una cosa di secondo piano: senza il personale sanitario in carne e ossa pronto a intervenire in poco tempo nella catena di montaggio, il software di Bending Spoons di fatto è inutile.
Con il decreto del 30 aprile, il ministero della Salute ha stabilito che «la ricerca e la gestione dei contatti, per essere condotta in modo efficace, deve prevedere un adeguato numero di risorse umane» all’interno dei Dipartimenti di prevenzione, tra operatori sanitari e di sanità pubblica e personale amministrativo.
Sulla base delle raccomandazioni dello Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control), «per garantire in modo ottimale questa attività essenziale» – dice la circolare di Speranza inviata alle Regioni – dovrebbero essere messe a disposizione a livello territoriale «non meno di una persona ogni diecimila abitanti». Tradotto sulla popolazione italiana: seimila operatori dedicati. Che dovranno tracciare i contatti, monitorare i pazienti in quarantena, eseguire i tamponi, inserire «tempestivamente» i dati nei diversi sistemi informativi.
Un esercito di medici igienisti, assistenti sanitari e tecnici, che però i Dipartimenti di prevenzione delle Asl non hanno. Ad oggi, in queste strutture lavorano solo novemila operatori, che da soli gestiscono un ampio spettro di attività, dalla sanità animale ai vaccini, dall’igiene degli alimenti all’antinfortunistica.
Con una carenza di oltre cinquemila addetti, secondo le stime di uno studio della Società italiana di igiene e medicina preventiva e della Fondazione Smith Kline. Dato, questo, che si riferisce a quando l’Italia non era ancora l’epicentro europeo di una pandemia mondiale. E che ora, a fronte della richiesta di seimila operatori, diventa ancora più allarmante.
Il ministero della Salute ha chiesto alle Regioni di adeguarsi agli standard chiesti dall’Europa, ma senza stanziare dei fondi ad hoc. E nel decreto rilancio, la parola tracciamento si trova una sola volta all’articolo 1 sul potenziamento dell’assistenza territoriale, con un generico finanziamento di 250 milioni di euro da spartire tra le regioni.
Eppure, nella lotta all’epidemia, il tracciamento manuale e il tracciamento digitale non sono alternativi. Anzi. Jason Bay, il capoprogetto della app di Singapore che ha ispirato Immuni, ha dichiarato che nessun sistema di tracciamento digitale può sostituire quello manuale. E i Paesi asiatici modello, prima ancora delle app, non a caso si sono dotati di migliaia di tracciatori umani.
Come funziona il contact tracing manuale? Una volta diagnosticato un caso positivo, gli operatori sanitari contattano il malato e gli chiedono l’elenco delle persone che ha incontrato. Questi contatti, a loro volta, vengono classificati a seconda del livello di rischio, che varia in base al tipo di interazione avuta, se più o meno vicina o più o meno lunga. I soggetti ad alto rischio vengono poi messi in isolamento e contattati ogni giorno per monitorare la comparsa di sintomi. Quello farà Immuni sarà identificare chi è entrato in contatto con un positivo in un raggio ristretto. Ma da lì poi, sarà necessario il lavoro di tracciamento e classificazione manuale. E quindi quei seimila specialisti previsti dal decreto.
«Immaginiamo di dover fare una torta sul contact tracing», dice Enrico Di Rosa, coordinatore del collegio nazionale della Società italiana di igiene e medicina preventiva. «La parte con tanta panna e crema sono gli operatori sanitari. La tecnologia sono le ciliegine sulla torta. Ma le ciliegine da sole non fanno la torta». Fuor di metafora, Di Rosa ribadisce: «Il contact tracing si fa con le persone, le tecnologie ci sono di aiuto ma non ci sostituiscono. Ci servono numeri e professionalità».
Nel giorni di picco dell’emergenza sanitaria, all’interno dei Dipartimenti di prevenzione tutti hanno dato una mano ai reparti del Sisp, il Servizio di igiene e sanità pubblica adibito al tracciamento delle malattie infettive. Veterinari, infermieri, medici del servizi dediti all’alimentazione sono stati dislocati nel monitoraggio dei pazienti e dei contatti. «Se nei giorni clou dell’epidemia i colleghi veterinari ci hanno dato una grossa mano, perché in quel momento molte attività erano ferme, man mano le riprendono le altre attività servirà un progressivo potenziamento per garantire il tracciamento ma anche l’erogazione dei servizi ordinari», dice Di Rosa.
Le Regioni hanno avviato il monitoraggio sui numeri del personale a disposizione dei dipartimenti di Prevenzione, di cui devono riferire al ministero. In piena emergenza, diverse regioni sono corse ai ripari assumendo a tempo determinato medici e infermieri. Secondo i dati del ministero della Salute, da metà marzo a metà maggio si contano 24.528 nuovi assunti. Nell’elenco si trova qualche medico igienista, ma la gran parte dei neoassunti è finita a tamponare le carenze di personale nelle corsie degli ospedali.
Quelli meno numerosi nelle strutture regionali sono assistenti sanitari, diversi dagli infermieri perché addetti proprio alla medicina preventiva. Qualche regione, dal Piemonte al Veneto, ha emesso i primi bandi per la ricerca di queste figure. Ma per raggiungere gli standard europei il cammino è lungo. In una città come Roma si contano un centinaio di assistenti sanitari: lo stesso numero di Bologna, che però ha una popolazione di sette volte più piccola. Forti carenze si registrano anche in Campania, dove non esiste un percorso formativo ad hoc. E in Calabria e Sicilia, vista la penuria di personale nei dipartimenti di Prevenzione, si starebbe pensando addirittura di formare gli assistenti sociali per fare il contact tracing.
L’Istituto superiore di sanità, intanto, ha avviato il corso a distanza “Emergenza epidemiologica Covid-19: elementi per il contact tracing”, strutturato per un platea ampia di 20mila operatori sanitari da formare e impiegare nel tracciamento dei contatti e degli spostamenti. «Stiamo rispondendo a una emergenza da un punto di vista formativo, vista la carenza di assistenti sanitari e personale medico specializzato nei dipartimenti di prevenzione delle Asl», spiega Alfonso Mazzaccara, responsabile del servizio formazione dell’Iss.
Gli iscritti, al 22 maggio, sono 3.821. Il corso è rivolto non solo agli assistenti sanitari, ma anche a biologi, tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, dietisti, oltre ai medici di medicina generale. Figure che in teoria non dovrebbero svolgere il tracciamento dei contatti, ma che, davanti alle carenze di organico, vengono comunque formate per farlo.
Intanto, nel resto d’Europa sembra andare meglio. In Belgio, in attesa di decidere se farsi o meno una app, il governo ha già creato un dipartimento di “traceur Covid” umani. La Germania, anche senza app, durante l’emergenza ha fatto un grande lavoro di tracciamento manuale, e il governo tedesco a marzo ha indetto anche un bando per reclutare almeno 20 tracciatori ogni centomila abitanti. Nel Regno Unito, dove pure sono in ritardo con la app, ne hanno già assunti ventunomila. Negli Stati Uniti, al momento sono undicimila, ma potrebbero arrivare a centomila.
In Italia, per il momento, l’attenzione è tutta concentrata su Immuni. Che, se tutto va bene, comincerà a essere sperimentata a partire da fine maggio, a un mese dalla partenza della fase 2. In compenso, nell’ultimo dpcm il governo ha chiesto a ristoranti e pubblici esercizi di conservare l’elenco nominativo dei clienti per almeno 14 giorni. «Dopo essere stati colti impreparati nella Fase 1 senza mascherine, dpi, ventilatori, stiamo pericolosamente rinunciando a giocare d’anticipo affrontando la Fase 2 con armi spuntate», dicono dalla fondazione scientifica Gimbe. Ciliegine, senza torta.