«Ci sono voluti cinquant’anni», scrive il New York Times, «ma il lievito alimentare è finalmente diventato mainstream». A supporto di tale tesi vengono citati – oltre a dati come un incremento nelle vendite negli Stati Uniti in aumento del 20% tra febbraio 2019 e febbraio 2020 – anche una linea di merchandising che annovera adesivi e t-shirt. Entrambi inneggiano al Nooch, che altro non è che appunto il lievito alimentare, affettuoso nickname inventato dai suoi adepti sin da tempi non sospetti: galeotto fu Post Punk Kitchen, popolare show di cucina vegana creato da Isa Chandra Moskowitz, andato in onda sullo storico canale televisivo pubblico BRIC TV dal 2003 al 2005 e poi confluito in un omonimo sito di ricette veg, diretto da Moskowitz stessa.
Che lo si voglia chiamare lievito nutrizionale, Nooch o nutritional yeast, la sostanza non cambia: trattasi di «lievito disattivato, derivato da un ceppo di Saccharomyces cerevisiae, che viene venduto commercialmente come un prodotto alimentare», recita Wikipedia. Tradotto, parliamo di lievito di birra essiccato, utilizzabile non più nella panificazione o nella pasticceria, bensì come sostituto alimentare. Lo si trova in scaglie o fiocchi di color giallo senape, in Italia ormai in tutti i negozi bio, nelle erboristerie e perfino in qualche supermercato; è poco calorico (circa 250 calorie per 100 grammi) e contiene parecchi carboidrati, proteine e fibre, a fronte di pochissimi grassi. Strano ma vero, le sue proprietà benefiche sono note sin dall’Antico Egitto: essendo ricco di vitamine del gruppo B (in particolare B12), il suo consumo ha effetti positivi sulla flora batterica intestinale, sulla pelle, sulle unghie e sui capelli. È inoltre privo di zucchero e glutine: contenendo ferro e aminoacidi essenziali, e non essendo di origine animale, è stato da sempre conosciuto e utilizzato da chi segue una dieta vegana come una valida alternativa ai prodotti lattiero-caseari. Lo si sparge grattugiato su pasta e verdure (senza cuocerlo o scaldarlo affinché non perda le sue proprietà nutritive), ai quali dona sapore e umami – esattamente come farebbe il formaggio.
A lungo relegato in una nicchia composta da vegani hardcore, oggi il lievito alimentare, grazie a un nomignolo divertente e sfacciato e alle sperimentazioni di chef e di cuochi fai-da-te, ha – almeno negli Stati Uniti – incontrato un pubblico più ampio. Il celebre e amato Momofuku Ssäm Bar, nel cuore dell’East Village newyorchese, ha inserito nel menù del pranzo le verdure fresche mescolate con una vinaigrette di Nooch; allo Sqirl di Los Angeles si serve un’insalata Ceasar con crostini di Nooch come contorno alla costata per due persone; database di ricette decisamente onnivore (il NYT Cooking in primis) propongono il Nooch come condimento per i cannelloni, per i mac ‘n cheese, per le zuppe o come topping per i popcorn. Usi diversi, che partono però da un medesimo processo: il lievito “normale” si coltiva a partire dalla componente zuccherina del melasso, un prodotto ottenuto dalla lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero. Una volta fermentato, il lievito viene raccolto, lavato, pastorizzato ed essiccato: gli ultimi due passaggi disattivano la sua capacità di lievitazione, e gli donano la tipica forma e consistenza che (paragone poco invitante) pare quella di mangime per pesci.
Da semplice integratore – ché la dieta vegana, si sa, manca di sufficienti vitamine del gruppo B, in particolare B12 –, il nostro caro Nooch s’è trasformato in un condimento che molti fanno cadere nella macro-categoria ‘superfood’, nonostante alcuni avanzino delle perplessità. Marion Nestle, docente di studi alimentari e di nutrizione presso la New York University, sostiene che la crescente popolarità del lievito alimentare negli ultimi anni possa essere ricondotta a «vari interventi e affermazioni fatti su Internet a riguardo. Il mio consiglio è d’assumerlo in caso di intolleranze a determinati alimenti, sebbene l’assenza di specificità sia sovente un indizio del fatto che questi prodotti paiono ‘magie nutrizionali’, senza molta scienza alle spalle».
L’unico motivo per mangiarlo, ritiene la Nestle, è per il gusto: «non credo che questa roba abbia un buon sapore, ma in generale vedo che piace». L’aspetto nutrizionale ha d’altronde via via perso di fascino: Rebecca Firkser, giornalista freelance e creatrice di ricette, si tira fuori dalla discussione e ammette candidamente di ricorrere al lievito alimentare «quando ho bisogno di una botta di umami, per noodles di sesamo, popcorn, insalate, verdure grigliate, riso, mix di frutta secca». Per molti, inclusa Firkser, un amico vegano o l’articolo di un blog sono stati il punto d’accesso per cominciare ad avvalersi del lievito alimentare in cucina, poiché il prodotto è spesso citato nei libri e nei blog vegani come sostituto del formaggio.
I nuovi fan del Nooch, tuttavia, lo stanno ormai vivendo come un vero e proprio condimento a sé stante, indipendentemente dall’essere o meno vegani. C’è poi un motivo per cui il lievito alimentare viene paragonato al formaggio: contiene glutammato monosodico, la versione sodica dell’acido glutammico, che è parecchio umami, nonché sviluppato in grandi quantità da formaggi stagionati come il Parmigiano Reggiano.
Vuoi poi i presunti benefici per la salute, vuoi l’impennata delle scorte alimentari da quarantena, da febbraio a marzo le vendite online del lievito alimentare Bob’s Red Mill sono cresciute del 400%: «un aumento senza precedenti», fanno sapere i portavoce dell’azienda, e la stessa identica cosa succede anche in casa Bragg. Entrambi i marchi hanno raccontato d’aver letteralmente lavorato giorno e notte per produrre, confezionare e spedire più lievito possibile e soddisfare così una domanda di ordini che pare impazzita.
È ancora troppo presto per stabilire se le vendite provengano da vegani in cerca di vitamine o da curiosi cuochi casalinghi che hanno provato il lievito alimentare nei menu dei ristoranti e finalmente hanno il tempo di sperimentare da soli. «Si tratta comunque di due tendenze che hanno portato la base clienti a espandersi ben oltre il nucleo centrale di vegani e vegetariani», fanno sapere da Bob’s Red Mill, che lo produce dal 1970.
Un modo sicuro per differenziare la vecchia dalla nuova guardia dei fan del lievito alimentare in realtà esiste. Quando Rebecca Firkser ha chiesto al suo ragazzo di comprarne una confezione, lui «non è riuscito a trovarlo perché la confezione stessa riportava ”lievito alimentare”, un termine che io non avevo mai utilizzato prima. Per me è sempre stato il Nooch». E la domanda allora sorge spontanea: se la moda del lievito alimentare arriverà anche in Italia, quale soprannome dovremo affibbiargli per renderlo sexy?