Oggi comincia il secondo round di negoziati post Brexit, e anche se si svolgono in videoconferenza, è rimasto l’elefante nella stanza: l’Irlanda del Nord. Il tempo passa e i negoziatori dovranno risolvere in poco tempo il rompicapo che nessuno riesce a risolvere dal referendum del 2016: come e quali controlli ci saranno fra Belfast e il resto del Regno Unito (Scozia, Galles, Inghilterra)?
Almeno sul piano doganale, l’Irlanda del Nord si allontanerà dal resto della Gran Bretagna e dovrà rispettare le leggi del mercato unico europeo. L’unico modo per commerciare senza ostacoli e tensioni politiche con la nazione che condivide l’altra parte dell’isola: l’Irlanda. Che sia una frontiera delicata lo ricorda la storia recente. Quando l’Irlanda (cattolica) ottenne l’indipendenza, nel 1921, le sei contee a nord a maggioranza protestante restarono parte della Gran Bretagna. Finita la guerra civile è rimasta la tensione.
Dalla fine degli Anni Sessanta, l’occupazione poliziesca e la lotta armata, indipendentista e unionista, hanno portato 3.600 vittime, la metà civili. Alle elezioni generali dello scorso dicembre, in Irlanda del Nord, hanno perso voti tanto gli unionisti (-5,4 per cento) quanto i repubblicani (-6,7 per cento), mentre sono cresciuti i moderati dell’Alliance Party (+8,8 per cento). Nel referendum su Brexit del 2016 ha vinto il «Remain», al 56 per cento.
Per capire se tornerà la stagione del terrorismo nell’isola bisognerà vedere nero su bianco le condizioni dettagliate per l’attuazione del Withdrawal Agreement che saranno elaborate da un comitato specializzato di rappresentanti dell’Unione europea e del Regno Unito, Il futuro dei rapporti di vicinato tra Regno Unito e Unione europea passa più da qui che dai corridoi del Parlamento di Westminster.
Il primo round dei negoziati è finito male. Ha prevalso l’ostruzionismo inglese e il capo negoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier, ha dichiarato: «Temo che il Regno Unito non intenda impegnarsi seriamente». Il rischio di non trovare un accordo entro l’anno è altro e Londra non sembra intenzionata ad allungare la fase di transizione oltre il 31 dicembre 2020. Cosa che può fare fino al 30 giugno.
A Belfast l’Ue vorrebbe aprire un ufficio stabile. Secondo un retroscena del Financial Times, la richiesta – avanzata durante le trattative – ha stizzito il governo conservatore, che la vive come un’ingerenza indebita negli affari interni. La linea dura ha compattato i Tories dopo l’harakiri referendario di David Cameron, potrebbero spaccarsi se venisse riaperto il dossier. Nessuna delle controparti sembra disposta a concessioni.
Un’analisi del think tank dell’Europarlamento mette nero su bianco le conseguenze di questa partita a scacchi. Nel Whitradwal agreement firmato da Boris Johnson a gennaio 2020 la clausola di backstop per l’Irlanda del Nord scatterà alla fine del periodo di transizione, a dicembre di quest’anno. Questa «rete di protezione» ha carattere permanente e non più temporaneo. È Belfast con la sua assemblea legislativa (autonoma da Londra, ma non indipendente) a rinnovarla ogni quattro od otto anni.
L’intersezione doganale, però, irrigidirà i traffici. Per far attraversare alle merci il mare d’Irlanda, calcola Downing Street, serviranno documenti bifronti – import ed export – che costeranno fra le 15 e le 56 sterline ciascuno. Ci vogliono quasi due ore per compilare uno solo di questi form da 50 campi. Potrebbero scattare dazi su alcune categorie di beni importati dall’Inghilterra, perché non finiscano sul mercato di Dublino.
Un’eventualità da disinnescare con l’accordo commerciale che Regno Unito e Unione europea stanno faticando a raggiungere, nonostante le telefonate del primo ministro a Ursula von der Leyen. Anche il primo ministro dell’Irlanda del Nord ha chiesto di velocizzare le trattative: «È importante ottenere chiarezza per le nostre attività nell’Irlanda del Nord e penso che sia la questione chiave».
Asked about Brexit, first minister of Northern Ireland Arlene Foster says 'we shouldn't get distracted on talks of an extension' as it's important to get 'clarity' for businesses in Northern Ireland.#Ridge
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— Sophy Ridge on Sunday & The Take (@RidgeOnSunday) May 10, 2020
Sotto l’egida comunitaria, la regione godeva del libero scambio con 37 nazioni. Dovrà chiedere al governo di rinegoziare i trattati a uno a uno (in alcuni casi il processo s’è già avviato), magari a condizioni peggiorative. Se per le importazioni (16,8 miliardi di sterline in totale) l’Irlanda del Nord dipende soprattutto dalla Gran Bretagna, sul fronte delle esportazioni (15,7 miliardi) Europa ed Éire pesano per il 39 per cento. Potrebbero esserci ripercussioni sui prezzi.
Subito dopo la Londra globale e multietnica, le sei contee rappresentano la seconda zona a più alto tasso di immigrazione lavorativa del Regno Unito. La stretta promessa da Johnson, con un sistema a punti, ridurrà gli ingressi. Infine, con la separazione svaniranno i fondi europei: un tesoretto da 710 milioni all’anno, l’1,4 per cento del prodotto interno lordo nordirlandese.
I progetti approvati entro fine anno saranno comunque finanziati. Ci saranno contraccolpi, poiché l’economia locale è legata alla pubblica amministrazione in modo più stretto di quella britannica. In particolare, la Brexit decapiterà il reddito degli agricoltori che proviene quasi integralmente (per l’87 per cento) dalla Politica comune europea coi suoi sussidi.
La contrazione del Pil, stima la Strathclyde University, sarà nell’ordine del 2,7 per cento in quindici anni con un accordo commerciale fra Ue e Uk, del 3,3 per cento in sua assenza. Downing Street è più pessimista: giù del 9 per cento nel secondo caso. Sulle esternalità politiche, invece, è difficile fare previsioni. Ora a Dublino è al potere Sinn Féin, che vorrebbe l’annessione o quantomeno un referendum.