Obbligati a stare a casa per il lockdown, gli italiani hanno mantenuto contatti e relazioni grazie ai social. Nel mese di marzo, secondo l’indagine Comscore-Sensemakers sui comportamenti degli utenti al tempo del lockdown, le persone che hanno utilizzato i siti e le app di social networking sono 36,7 milioni (il 94% di quelle che hanno navigato in rete). Mentre sono state 33,8 milioni, pari all’87 per cento della popolazione on-line, quelle che hanno usato i servizi di instant messaging.
Quanto alle singole piattaforme, TikTok è per il social con il maggior tasso di crescita. La sua audience è quadruplicata fino a raggiungere i 7 milioni di utenti unici a marzo 2020.
Utilizzata quasi esclusivamente da under 18, in questi mesi di emergenza la sua timeline è stata intasata di video di utenti che ballano e cantano, giocano con i propri gatti o improvvisano parodie di film famosi. Un modo come un altro per passare il tempo, se non fosse per i trascorsi della piattaforma in materia di trattamento dati.
Dietro TikTok infatti c’è la società ByteDance, che è stata recentemente valutata oltre 75 miliardi di dollari e a inizio 2020 è finita sotto esame del Garante della privacy italiano.
Già nel 2019 l’azienda è stata sanzionata negli Stati Uniti per violazione del Children’s Online Privacy Protecion Act con una multa di 5,7 milioni di dollari per non aver vigilato sul rispetto delle condizioni. Così come in Italia, a TikTok è stato contestato il fatto di non aver bloccato contenuti condivisi da utenti che avevano un’età inferiore ai 13 anni e di non trattare i dati personali e sensibili secondo le norme europee.
Oggi, nonostante l’emergenza, ci confermano dagli uffici del Garante che l’istruttoria per capire «l’impiego poco trasparente delle informazioni messe a disposizione di TikTok» è arrivata all’Autorità europea per la protezione dei dati.
L’indagine ha infatti coinvolto Francia, Irlanda e Paesi Bassi, che insieme hanno chiesto al Garante europeo la possibilità di istituire una task force comunitaria per approfondire i rischi della piattaforma, soprattutto per i più giovani. Considerata anche l’esposizione avuta durante la quarantena: in media 18,6 minuti al giorno per utente (per una crescita del 121 per cento rispetto marzo 2019).
Numeri e scenari che fanno riemergere dubbi sul mondo dei social network: ad esempio, cosa ne fa TikTok dei dati raccolti? «Immaginare che l’autorità cinese sia interessata ai nostri dati, e sopratutto a quelli dei nostri figli, è limitativo» spiega Gianluigi Ciacci, docente di Informatica giuridica della Luiss.
«A Pechino non interessa la storia dei singoli individui, bensì i comportamenti della comunità, della “massa”. È questa la sua pericolosità, perché con quei miliardi di dati, TikTok e la società madre, fanno delle analisi che gli permettono di prevedere e capire i gusti della collettività».
Non si temono quindi solo attacchi hacker che possano rubare i dati sensibili dei minori. Non è ancora chiaro per quali scopi vengano usati i dati e i video e Bytedance si difende sostenendo che queste informazioni servirebbero per migliorare i sistemi di riconoscimento facciale per creare nuovi filtri.
«Gli interessi di TikTok sono molto probabilmente quelli di Facebook e Google, almeno per gli utenti europei, quindi in fondo di natura commerciale. Acquisire dati per creare e formulare nuovi canali business che tra poco potremmo vedere nascere in Cina» » continua Ciacci.
Il sospetto che ricade invece sulla versione utilizzata in Cina è diverso: i contenuti servirebbero infatti per «migliorare i sistemi di videosorveglianza su cui Pechino avrebbe una leadership tecnologica».
Pensare di difendersi da un app di balletti e coretti di adolescenti (anche se oramai è sempre più utilizzata anche da adulti) può sembrare paradossale, ma non inutile. «C’è una difesa di base fatta di sensibilità e attenzione che deve nascere dai genitori e diretta a far rendere conto ai propri figli della necessità di fare attenzione ai contenuti che potrebbero postare sulla piattaforma. In secondo luogo ci deve essere un’attenzione sociale, “culturale” verso questi argomenti, troppo spesso sottovalutati», spiega il professor Ciacci.
«E poi c’è il Garante della privacy: l’autorità italiana ha circa 150 dipendenti, mentre ad esempio quella inglese più di 850. Non si è mai investito abbastanza su questa istituzione che adesso, però, è diventata fondamentale per la nostra sicurezza».