Pensare in grandeÈ il momento di realizzare il sogno del professionismo nel calcio femminile italiano

Fabio Appetiti (Associazione italiana calciatori e calciatrici) e Tommaso Nannicini (senatore del Partito democratico) lanciano un appello per assicurare alle atlete che dedicano la propria vita allo sport le stesse tutele giuridiche e di welfare dei loro colleghi. Un appuntamento con la storia che non si può più rimandare

AP/Lapresse

“When in trouble go big”, ci insegnano gli anglosassoni: quando sei in difficoltà, pensa e agisci in grande. È quello che dovrebbe fare il mondo del calcio femminile. Per uno strano scherzo del destino, a distanza di un anno esatto, la decisione di annullare il campionato di Serie A ha coinciso con la data in cui le nostre azzurre avevano esordito ai mondiali di Francia nel 2019, regalandoci una straordinaria vittoria contro l’Australia.

In rimonta e al 95° minuto: la quintessenza del calcio. Da quel goal in zona Cesarini partì il sogno mondiale delle azzurre, che poi ha fatto tanto parlare di calcio femminile. Ormai, in quanto a popolarità, Sara Gama, Barbara Bonansea o Cristiana Girelli se la giocano con Chiellini o Immobile.

Quella avventura servì ad accendere i riflettori su una delle tante ingiustizie di genere del nostro Paese: il fatto che atlete che dedicano la propria vita allo sport non hanno le stesse tutele giuridiche e di welfare dei loro colleghi maschi, perché non accedono allo status di professioniste sportive nonostante lo sport sia il loro lavoro. Delle otto squadre più forti del mondo ai mondiali di Francia, solo l’Italia non riconosce alle sue calciatrici lo stesso status dei calciatori maschi.

Da allora, le dichiarazioni a favore del professionismo sportivo negli sport femminili si sono sprecate, perché parlarne fa molto “politicamente corretto”. Ma come spesso accade nella politica, alle dichiarazioni hanno fatto seguito pochi fatti concreti. Tranne uno. Nell’ultima legge di bilancio, il Senato inserì un emendamento per incentivare, mediante uno sgravio contributivo triennale, il passaggio al professionismo femminile da parte delle federazioni sportive.

Perché lo sport è anche un’attività economica (una fetta di Pil importante nel nostro Paese) e non si può sganciare il sacrosanto allargamento delle tutele da un piano complessivo per raggiungere gradualmente la sostenibilità economica.

La Figc, superando iniziali resistenze, si era detta pronta a usare quell’intervento per far partire il professionismo femminile. Ma purtroppo la pandemia ha interrotto quel percorso, portando anche alla luce tutte le fragilità del calcio femminile, di cui lo stop alla seria A è solo la punta dell’iceberg.

Dobbiamo fare i conti con la realtà di un sistema ibrido senza reali tutele per le atlete, con società professionistiche che nel femminile giocano da dilettanti e società di dilettanti che competono con le altre facendosi carico di tutte le difficoltà economiche e organizzative che ne derivano. Un sistema ibrido e soprattutto fragile, a cui mancano ancora troppi tasselli per raggiungere i livelli di altre realtà europee e che non potrà reggere l’urto della realtà post pandemia, se non si doterà in tempi brevi di basi solide.

Per questo è il momento di pensare e agire in grande: affrontando l’emergenza e rilanciando, nello stesso tempo, il passaggio al professionismo. È un percorso che non serve solo a dare sacrosanti (e non più rinviabili) diritti alle ragazze, ma a migliorare gli impianti in cui si gioca, a dotarsi di strutture medico-sanitarie all’altezza, a investire in politiche di promozione del comparto, a professionalizzare tutti quelli che vi lavorano.

In attesa della riforma organica del mondo dello sport a cui lavora il ministro Spadafora, si deve agire subito. Le risorse ci sono, non ne servono di nuove: sono quelle della decontribuzione inserita nell’ultima legge di bilancio e mai partita per colpa della pandemia. Recuperiamole per una serie di interventi di sistema che, nell’immediato, aiutino gli sport femminili (tutti quelli pronti a fare il passaggio al professionismo, non solo il calcio) a superare l’emergenza covid-19 e, negli anni successivi, promuovano la sostenibilità economica, l’allargamento delle tutele per le atlete e investimenti sugli impianti.

È la proposta contenuta nel disegno di legge Nannicini n. 1841 al Senato: “Interventi per il passaggio al professionismo e l’allargamento delle tutele sul lavoro negli sport femminili”. Una proposta che impone una sola condizione alle federazioni sportive che vorranno attingere a queste risorse: sancire subito, entro 60 giorni, il passaggio al professionismo femminile, che dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2021.

Dodici mesi da oggi al campionato 2021/22 sono un tempo sufficiente per realizzare il sogno del professionismo femminile in Italia. Un sogno che però va costruito già oggi, con idee chiare e risorse certe, inserendo quella proposta nel decreto Rilancio all’esame del Parlamento. È un’occasione che non possiamo sprecare. Onde evitare un amaro risveglio.

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