Immaginiamo di avere tra le mani una bottiglia importante, diciamo pure un’edizione limitata. Di più: un’etichetta tra le più rare al mondo, conservata nel freezer del Polo Nord per almeno quattromila anni. Il momento è solenne: stiamo per aprire una straordinaria bottiglia d’acqua. Questa strana storia inizia nel 2013 quando Mr. Jamal Quereshi, norvegese trapiantato negli Stati Uniti, durante una vacanza presso le isole Svalbard, raccoglie un pezzo di iceberg da regalare alla moglie con l’idea di farne un tè puro. In quell’istante Jamal scopre la sua ossessione: ricavare acqua biologicamente pura dai ghiacciai del circolo polare artico. Con il permesso del governo locale il rompighiaccio Ulla Rinman preleva la materia prima che viene lasciata sciogliere lentamente senza filtraggi chimici. Ogni spedizione produce solo 13mila bottiglie e parte del ricavato aiuta a finanziare un progetto per la riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera. Il prezzo? Quello di un buonissima, barricatissima bottiglia di vino, 150 dollari. Tanta fatica (e soldi) per qualcosa che non ha colore, sapore né odore come abbiamo appreso alle scuole elementari? Dobbiamo limare qualche certezza.
Per orientarci in questo mare magnum – tra iceberg, residui fissi e bollicine – ci serve l’aiuto di un idrosommelier, professione che ha il suo guru in Martin Riese, il più famoso e premiato sommelier di oro blu al mondo. Alla base di questa professione c’è la convinzione che ogni acqua abbia caratteristiche uniche e inimitabili che dipendono dal luogo da cui proviene e dal livello di minerali presenti al suo interno. Dunque non è insapore come ci ha insegnato la maestra, basta sapere come assaporarla. «La degustazione coinvolge tutti i sensi: la fisiologia dell’olfatto, del gusto, della vista, sapore, profumo e aroma» spiega Stefania Santini Simoncelli, idrosommellier e ambasciatrice della campagna Water like Wine di Acqua Filette che mira a dare all’acqua la stessa dignità che il mercato riserva al vino o allo champagne. A influire sulla percezione al palato concorrono la diversa mineralizzazione e il diverso pH, insieme alla percentuale di anidride carbonica disciolta. Da questi e altri fattori derivano anche i quattro gusti base: tendente al salato, all’acido, al dolce e all’amaro; gusti che un palato allenato distingue e identifica facilmente orientando gli abbinamenti giusti. Ecco perché nei ristoranti di livello sta diventando una consuetudine trovare la carta delle acque minerali accanto a quella dei vini. «Cibi dal sapore delicato, come antipasti leggeri, verdure, pesce al vapore o gelato vanno associati a una oligominerale; viceversa, un piatto strutturato e molto grasso avrà bisogno di un accompagnamento che deterga la bocca, diciamo una minerale con una giusta percentuale di anidride carbonica. Per formaggi e affettati freschi il match ideale è con una oligominerale piatta o leggermente effervescente; con gli stagionati meglio una oligominerale effervescente da tenere in tavola se a seguire ci aspetta un dessert cremoso».
Quando non siamo guidati da un professionista, basta affidarsi alle indicazioni in etichetta. In estrema sintesi: quelle minimamente mineralizzate sono leggere, stimolano la diuresi e sono indicate per diluire latte in polvere e altri alimenti per l’infanzia; le oligominerali favoriscono anch’esse la diuresi e sono ideali nelle diete iposodiche; le minerali o mediominerali sono perfette d’estate o quando si fa sport perché consentono di reintegrare i liquidi e i sali minerali persi con la sudorazione; infine, quelle ricche di sali minerali vanno approcciate solo sotto controllo medico.
Adesso che l’abbiamo aperta, questa benedetta acqua dobbiamo servirla. Riponiamo le caraffe, l’acqua in vetro raggiunge la tavola nella sua confezione originale (con buona pace di tutti i bon ton). I bicchieri, in cristallo o vetro sonoro, sono rigorosamente due, uno per la piatta l’altro per la frizzante; bordo sottile all’altezza dell’imboccatura per facilitare l’accostamento delle labbra e nessuno stelo, perché la mano afferrerà il bicchiere per un tempo minimo senza pericolo di surriscaldarla. Per le bollicine, la bocca del bicchiere deve restringersi un po’ per trattenere il perlage il più a lungo possibile e dosare il flusso del liquido sulle papille gustative.
La temperatura di servizio fa la differenza, esattamente come col vino: 11-13 °C sono perfetti per quella naturale, per le bollicine un paio in meno aiutano ad assaporarne meglio la freschezza.
Almeno sulla sua trasparenza non dovrebbero esserci dubbi come sa bene chi la usa a fini politici. Il 1° novembre 2011 il deputato del Partito democratico del Giappone Yasuhiro Sonoda beve un bicchiere d’acqua proveniente dai reattori 5 e 6 di Fukushima di fronte alle telecamere di una sala stampa affollata. Un gesto potente che fa il giro del mondo. Obiettivo della performance, secondo The Guardian, dimostrare che non c’è alcun pericolo di contaminazione nell’area intorno alla centrale nucleare danneggiata dal terremoto del marzo precedente. L’episodio ha ispirato “Come bere un bicchiere d’acqua”, installazione interattiva in cui i dati delle emissioni radioattive di quell’area del Giappone, condivisi in tempo reale su internet, si trasformano in ombre sul vetro del bicchiere.
Tornando alle chiare, fresche dolci acque nostrane, cui è dedicato anche un museo, vediamo in quanti modi ci si può dissetare: a piccoli sorsi, come raccomandano gli esperti o a garganella, lasciando cadere il liquido direttamente nella bocca aperta, tenendo il capo reclinato all’indietro, senza toccare il recipiente con le labbra (dal latino gargăla, trachea). E poi c’è anche il metodo giapponese, una terapia idrica praticata per perdere peso che consiste nel bere in momenti specifici della giornata, a partire dal risveglio.
Ma c’è chi va controcorrente. Sfidando chilometri di letteratura scientifica Luca Chiesi, musicista e insegnante di matematica in un liceo, ha provato a non bere per quattro mesi seguendo una dieta ricca di cereali che notoriamente assorbono moltissima acqua durante la cottura. Le ragioni di questo digiuno idrico che, per inciso, Chiesi sconsiglia a chiunque di intraprendere alla leggera, sono spiegate qui ma la notizia vera è che dopo quest’avventura è ancora vivo. L’opposto, vale a dire berne una quantità smisurata in poche ore, è altrettanto pericoloso e può portare alla morte in poco tempo.
Nonostante per secoli sia stata bistrattata al confronto con il vino gli esperti concordano sulle sue innumerevoli virtù: stimola il metabolismo, aiuta la concentrazione, è un potente antiage e pare che renda addirittura più felici. Sarà per questo che noi italiani ne acquistiamo tanta, nonostante quella pubblica sia mediamente buona e sicura: 220 litri a testa ogni anno, senza contare il business delle acque aromatizzate. Da pochi anni sono comparsi sul mercato anche sistemi di filtraggio domestico che si allacciano all’impianto e restituiscono acqua filtrata e frizzante direttamente dal rubinetto di casa, eliminando il problema dello smaltimento della plastica.
In senso metaforico, se l’acqua è mistica – dal bagno nell’acqua gelata degli shintoisti al battesimo cristiano, dal netilat yadayim, il lavaggio che si compie prima di toccare il pane degli ebrei alla festa dell’acqua del capodanno buddista – la sete è cristiana: «Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,37-42). In un gesto così piccolo, quasi banale, c’è l’intero messaggio evangelico, l’atto del dare che coincide con l’amare il prossimo. L’acqua offerta però dev’essere fresca, vale a dire buona, un gesto attento ai bisogni dell’altro, premuroso, che travalica addirittura il tempo terreno: non è forse cambiando l’acqua ai fiori del cimitero che manteniamo in vita il ricordo dei nostri morti? Ed è per un atavico istinto di protezione che i bambini chiedono un po’ d’acqua prima di addormentarsi: vogliono sapere se saremo in grado di prenderci cura di loro quando spegneremo la luce, se potranno abbandonarsi al sonno senza temere di rimanere soli. Perché l’acqua è cura e per chi la riceve non fa differenza se arriva dal circolo polare artico oppure dal rubinetto della cucina. L’importante è che ci sia quando ne abbiamo bisogno.
Disclaimer: nessuna goccia d’acqua è stata sprecata per realizzare questo servizio.