Sospendete questo festival barocco pomposamente definito “Stati generali dell’economia”. E non perché i partiti dell’opposizione, fiutando l’aria, hanno deciso che non ci saranno. È proprio che l’idea è nata male: succede. Meglio che il governo ne prenda atto, si fermi e progetti qualcosa di più sensato. Questa iniziativa sta diventando grottesca (dovrebbe addirittura durare 10 giorni come se fosse il festival di Cannes), stridente con la serietà del proposito di ascoltare le tante voci, italiane e internazionali, sul grande tema della ricostruzione economica, quella che il governo, sempre pomposamente, chiama Rinascita, con annesso Piano.
Per come è stata (non) costruita, questa iniziativa è già circondata dal più completo scetticismo, per usare un termine blando, giacché quelli che ne dovrebbero essere i principali protagonisti, le parti sociali e le forze produttive, non sanno bene cosa andranno ad ascoltare, quale sarà il senso del loro apporto, perché dovrebbero impegnarsi in un appuntamento che non si capisce bene a cosa serva. I sindacati non paiono entusiasti, anche se in questa fase Maurizio Landini si guarda bene dal criticare Conte, la Uil non ha una leadership (il nuovo segretario, Pierpaolo Bombardieri, verrà insediato il 4 luglio), la Cisl non si sente.
La Confindustria di Carlo Bonomi invece è molto critica. «Non abbiamo ancora ricevuto alcun invito – dicono da viale dell’Astronomia – speriamo solo che non sia un’inutile passerella». Conte teme molto l’ostilità di grandi e piccole aziende unite nella rivendicazione di investimenti e liquidità: e il minimo che si possa dire è che finora non hanno visto né le une né le altre.
Peggio ancora va con le forze politiche: tardivamente coinvolte quelle della maggioranza (solo ieri il premier ha sentito mezzo governo), con quelle di opposizione che declinano l’invito.
Quanto alle “menti brillanti” evocate dal presidente del Consiglio, sfuggono del tutto i criteri alla base dell’invito di questo regista invece che di quell’altro, di questa archistar ma non di quella, in una sorta di raffazzonato casting forse buono per un programma generalista di prima serata ma certo non per un appuntamento politico che si vorrebbe di prima grandezza.
Resterà poi per sempre ignota la ragione della scelta del Casino Algardi di Villa Pamphili a Roma per ospitare videoconferenze e incontri ristretti, come se peraltro questo fosse il momento giusto per ripulire gli stucchi, sistemare i giardini e lustrare i lampadari del Casino medesimo invece di fare anche della location un simbolo di normalità istituzionale come sarebbe palazzo Chigi.
Meglio ancora sarebbe – è stato fatto notare, e non solo dalle opposizioni – se la discussione sul Piano di Rinascita o come si chiama venisse discusso in Parlamento evitando ancora una volta di dare l’impressione plastica che le cose importanti si affrontano altrove mentre alle Camere vanno in scena solo ratifiche di decisioni già assunte o discussioni generiche buone solo per i pastoni dei telegiornali.
E invece si sarebbe ancora in tempo – come ha proposto l’onorevole Casini -per affidare alle competenti commissioni economiche di Camera e Senato l’esame dei due documenti che, a quanto si è capito, sono sul tavolo: il documento del governo redatto dal Ministero dell’Economia, di cui ancora non si sa nulla, e quello consegnato dalla task force presieduta dal dottor Vittorio Colao, che, anche qui, non si sa se derubricato a mero “contributo”, specie dopo il clamoroso disconoscimento da parte della professoressa Mazzucato, consulente di Palazzo Chigi, gesto al limite dell’incidente istituzionale.