Superare PappalardoLa semplicità rivoluzionaria dell’Educazione

A giudicare dalle manifestazioni del 2 giugno avvenute in spregio a qualsiasi misura di sicurezza per il prossimo è evidente che stiamo fallendo l’occasione storica di diventare una società evoluta

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Photo by Wisnu Widjojo on Unsplash

Può sembrare notizia oramai vecchia quella delle manifestazioni senza mascherina e a beffa della distanza di sicurezza avvenute il 2 giugno scorso, ma certamente non lo è. Non lo è di certo per coloro che come me ravvedono in questi atteggiamenti la misura del fallimento al quale ci stiamo rapidamente avvicinando. Perseverando in questo atteggiamento falliremo nell’impresa più difficile che questa epoca ci ha riservato: riconoscere nell’incontro con l’altro, dunque nella sua salvaguardia, la nostra sola possibilità di trovare risposte a domande essenziali circa il futuro delle nostre società, dei nostri sistemi e finanche della nostra specie.

E invece di dedicarci concretamente alla comprensione di ciò, ci arrocchiamo testardamente sulle nostre vecchie posizioni, pensando che alla fine ad avere torto siano sempre gli altri. Siamo così irretiti da questo arcaico sortilegio che ci paralizza, che siamo finanche disposti a sostenere pubblicamente l’esistenza di immaginifici complotti che ci diano ragione, perdendo così l’occasione di riflettere sulle differenze che distinguono noi dagli altri, me dall’altro.

«Mi permetto di invitare, ancora una volta, a trovare le tante ragioni di uno sforzo comune, che non attenua le differenze di posizione politica né la diversità dei ruoli istituzionali. Le sofferenze provocate dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri» ha detto in un discorso alla nazione, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Perché «c’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite: qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro. Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo».

Ma qual è il principale strumento che abbiamo a nostra disposizione per non radicarci nelle nostre convinzioni bensì per mettere in discussione ciò che pensiamo di sapere? È l’educazione.

«L’unica via per la costruzione di un mondo di pace è l’educazione – sostiene il Dalai Lama – perché è l’unico strumento in grado di restituire all’uomo quei valori fondanti della sua natura che sono la compassione e l’attitudine al bene degli altri. La nostra capacità di costruire la pace è strettamente legata alle nostre emozioni. Il discrimine tra violenza e non violenza, tra pace e guerra, è nella nostra mente. È da lì che nasce tutto».

Ecco dunque che proprio la particolare complessità del nostro mondo, oggi più che mai dilaniato da tensioni sociali e crisi sia economica sia valoriale, ci richiede di manifestare questa nuova abilità ora. Dobbiamo esprimere un più alto livello di ascolto e maturare nuova comprensione.

Dobbiamo investire maggiormente sulla ricerca in discipline come le neuroscienze e le forme più evolute della psicologia e della pedagogia, poiché consentirebbero all’uomo di approfondire la conoscenza del funzionamento del proprio cervello e delle proprie emozioni.

Mi auguro dunque di veder avviare un programma di istruzione di tipo laico, che parta dalle scuole e continui nelle aziende, che sostenga gli individui in un percorso di conoscenza del Sé, alleggerendolo dall’effetto di una morale che per secoli ci ha precluso la conoscenza dei processi che governano il funzionamento delle nostre emozioni e dei nostri pensieri. Un simile processo favorirebbe la costruzione di una responsabilità allargata e condivisa.

Ci sono domande che non possiamo più rimandare: «Come possiamo alleggerirci del peso che ci impone l’apprensione che proviamo in presenza di sconosciuti, pur nella preservazione delle loro e della nostra identità?», «c’è un modo per poter vivere nella pace, in maniera proficua e benefica, traendo entrambi beneficio, appagamento e felicità?».

In sintesi: «Esiste un modo per restare vicini, magari separati solo da una linea immaginaria ma non certo da un muro di cemento armato, sostenendo reciprocamente l’uno la prosperità dell’altro, grazie alla nostra diversità? Ed è possibile l’unità nella diversità?».

Sembra un paradosso ma siamo tutti biologicamente identici. Abbiamo tutti lo stesso cervello, la stessa anatomia, la stessa fisiologia. E non solo. Condividiamo lo stesso futuro, abbiamo gli stessi problemi vitali, corriamo gli stessi pericoli. Il patrimonio dell’unità umana è dunque la sua diversità e il patrimonio della diversità umana è la sua unità. Dobbiamo capire finalmente che il nostro valore non deriva dalla capacità di imporre il nostro punto di vista o le nostre convinzioni, ma dalla capacità di accogliere tutta quella diversità che sarà ricchezza.

Dobbiamo affrettarci a educarci a credere nell’equilibrio dell’insieme mettendo al bando l’individualismo, la furbizia, l’opportunismo, la prevaricazione e il capitalismo vorace a vantaggio del giusto profitto, dell’educazione e della sensibilità. Dobbiamo affrettarci a educarci alla Gratitudine.

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