Giuseppe Conte ha scelto di impersonare il ruolo del grande pacificatore, Berlusconi avrebbe usato la trita locuzione del “buon padre di famiglia”, si complimenta con tutti, dà ragione a questo e a quello, tronca sul nascere potenziali focolai polemici, ha una soluzione per tutto. Gli sfornano “piani di rinascita” colorati, gli preparano discorsi “alti” (in quello destinato ai leader sindacali c’era anche lo storico marxista Eric Hobsbawm), Rocco Casalino ormai siede al tavolo arancione accanto ai ministri, se lo merita.
Dall’happening di Villa Pamphilj, in un clima più da racconto di Somerset Maugham che da riunione istituzionale, sta venendo fuori molto chiaramente questo tratto da super-mediatore del premier – prendo questo da qui, quest’altro da là, prometto questo a quelli, assicuro quest’altro a quegli altri – è un metodo di governo collaudatissimo che ricorda molto la stagione “forte” di una Democrazia cristiana che muoveva tutti i fili del Paese a partire da quelli dell’economia reale.
Il problema è che Conte non è Ezio Vanoni e neppure Emilio Colombo: ma si muove disinvoltamente fra Vittorio Colao che chiede infrastrutture, modernità e libertà da lacci e lacciuoli e Vito Crimi che vorrebbe un’Italietta da Mulino Bianco, fra i sindacati che chiedono tutele e gli imprenditori che vorrebbero finanziamenti, fra un Partito democratico che se ne sta buono buono e Renzi che scalpita. Una vita da mediano, quella del presidente del Consiglio, «lì nel mezzo», ruolo ispirato dal giannibreriano «primo non prenderle» e concretizzato nel dare un po’ a tutti. Il tempo delle scelte può attendere.
I complimenti a Colao «per l’ottimo lavoro» si sono sprecati, anche da parte di Gualtieri e Patuanelli, i ministri più interessati dell’enorme lavoro della task force dell’ex amministratore di Vodafone. Il quale si è presentato di buon mattino in Villa smentendo le voci malevole che lo avrebbero voluto in videoconferenza e ha poi tenuto un lungo discorso di tre quarti d’ora per spiegare per filo e per segno il suo Piano. Ovviamente è finita come non poteva non finire: con il premier e i ministri che dopo i ringraziamenti hanno assicurato che su diverse proposte c’è totale condivisione e che su altre si continuerà a riflettere. Grazie, dottore, arrivederci alla prossima.
Con i sindacati il copione “psicologico” è stato il medesimo. Qui anzi Conte è stato più furbo, facendo trovare ai suoi ospiti una bozza di decreto per garantire la cassa integrazione a tutti i lavoratori per tutto il tempo che sarà necessario in questa fase. È come se vai a una festa e ti fanno trovare il regalo. Importa relativamente che poi i leader sindacali abbiano chiesto una cig ancora più lunga, fa parte del gioco. Così come importa relativamente il lungo discorso di impianto riformista che il capo del governo aveva già preparato per i suoi ospiti, una piattaforma che magari vedesse la luce.
Eccola in sintesi: «Le missioni fondamentali sul tema del lavoro – ha detto Conte – sono il sostegno alle transizioni occupazionali, la tutela del reddito dei lavoratori, la promozione della qualità del lavoro». Tradotto, «la tutela del reddito dei lavoratori dovrà essere articolata in molteplici progetti: l’istituzione di un salario minimo nel Paese, la lotta senza quartiere alla contrattazione pirata, la detassazione dei rinnovi contrattuali, la creazione di un Documento Unico di Regolarità Contributiva su appalti e subappalti per il costo del lavoro, il contrasto al caporalato e al lavoro nero, l’incentivazione del welfare contrattuale». Buona musica per i sindacati, già di loro abbastanza allineati su una posizione tutt’altro che critica verso il governo.
A questo punto, il più scettico sul Festival di Villa Pamphilj resta il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che sarà agli Stati generale domani: «Io mi sarei aspettato che, nelle convocazioni a Villa Pamphilj, il Governo presentasse un piano ben dettagliato, con un cronoprogramma, con gli effetti attesi, in quanto tempo, gli effetti sul Pil. Io questo piano non l’ho visto, quindi sarei curioso di leggerlo». Vedremo se il premier che dà tutto a tutti convincerà anche lui. E soprattutto se dopo l’orgia di parole verrà il tempo dei fatti, il tempo più difficile per i mediatori di professione.